«I Paesi dell’euro? Tra due anni alcuni saranno fuori dalla lista»
CERNOBBIO – Sarà il cielo grigio piombo che incombe sopra Villa d’Este. Gli sguardi seri degli imprenditori che passeggiano in terrazza. Sulle rive del lago di Como ieri l’atmosfera era davvero cupa. Di nuovo, come nel 2008 alla vigilia del crac Lehman, al Workshop Ambrosetti di fine settembre, si torna a parlare di crisi. Stavolta però nell’occhio del ciclone c’è anche, e soprattutto, l’Europa. Di ottimisti non se ne vedono molti qui. Zhu Min, numero due del Fondo Monetario Internazionale, è uno dei pochi a tirarsi fuori dallo schieramento. È cinese. Comprensibile. «La situazione è difficile ma c’è speranza» ha detto, invitando a spostare l’attenzione sulle economie emergenti «che cresceranno al ritmo del 6% quest’anno, dando sostegno all’economia globale». Che Min non vede in recessione, ma in rallentamento sì.
Si tratta, tuttavia, dell’unica voce fuori dal coro. Il dubbio è un altro: saranno gli Usa o l’Europa a entrare prima in recessione? «I numeri che abbiamo visto di recente negli Usa — ha fatto notare l’economista Martin Feldstein — mi dicono che le probabilità che l’economia americana continui a declinare sono aumentate sensibilmente e potremmo trovarci in una recessione ufficiale entro fine anno». Dunque saranno gli Usa a sperimentare per primi il «double dip»?
Il direttore generale dell’Ifo, Hans Werner Sinn, l’uomo che ha il polso della fiducia dei tedeschi, non è d’accordo. Il fronte di crisi più certo è quello europeo. E il rischio di una spaccatura è concreto. A suo modo di vedere la fine dell’eurozona non è questione di «se» ma solo di «quando». Su questo anche Feldstein concorda: «Il progetto dell’euro è fallito». Un sondaggio condotto tra banchieri, imprenditori e manager presenti al Workshop gli dà ragione: 1 su 2 è sicuro che fra tre anni i Paesi dell’euro non saranno più gli stessi di oggi. La Grecia potrebbe essere la prima a lasciare la moneta unica, ma pure la Germania potrebbe decidere di andare per la sua strada ed evitare così di rimanere imprigionata nelle sabbie mobili della recessione. Si tratta solo di scenari. Che non escludono l’Italia da una possibile frammentazione dell’area.
Il problema non sembra tuttavia essere questo, oggi. «Il Nord Italia è la regione europea che cresce di più, e salverà il Paese» ha sostenuto Sinn. Di tutt’altro avviso la «cassandra» Nuriel Roubini: «I mercati finanziari sono preoccupati per la credibilità della politica economica — ha sottolineato l’economista della New York University —, si teme che la leadership del Paese sia compromessa e che quindi nella politica economica non ci sia abbastanza credibilità ». Per Roubini l’unica soluzione è «un cambiamento al governo, penso a un governo guidato da alcuni rispettabili economisti, un governo tecnico, potrebbe, insieme alle politiche appropriate, restituire fiducia».
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