Caos misure e rallentamento del Pil nel decreto si apre un buco di 6 miliardi
ROMA – È la manovra delle porte girevoli. Le misure entrano, escono, ritornano. Forse oggi pomeriggio si saprà come il governo intenda emendare il suo stesso decreto di Ferragosto. Ma più passa in tempo più il gioco si complica. Perché i veti contrapposti all’interno della maggioranza rendono sempre più difficile trovare la soluzione politica. Che sul piano strettamente economico si traduce nella copertura finanziaria delle misure.
«I saldi restano invariati», è comunque diventato il mantra. Quasi una «questione teologica» per l’attivo neo-segretario del Pdl, Angelino Alfano. In realtà è il vincolo che ci ha imposto la Banca centrale europea con il suo commissariamento soft chiedendoci di anticipare al 2013 il pareggio di bilancio previsto in un primo tempo nel 2014, in cambio del suo intervento sul mercato dei titoli di Stato (acquista Btp per tenere sotto controllo lo spread con i Bund tedeschi). La manovra da 55 miliardi, firmata da Berlusconi e Tremonti, serviva a questo, ma ora sta perdendo i pezzi e viaggia con un vagone vuoto di quasi cinque-sei miliardi. Un buco, potremmo dire. Destinato anche ad allargarsi per via della bassa crescita del Pil e del crescente costo degli interessi sul nostro debito. Per via, insomma, delle debolezze strutturali dell’economia italiana.
Un buco da riempire in fretta – soprattutto per ragioni di credibilità sui mercati internazionali – dopo “la spoliazione” avvenuta in quel di Arcore con i leader della maggioranza che hanno deciso di eliminare dal decreto il contributo di solidarietà sui redditi medio-alti e attenuare i tagli agli enti locali. Dalla prima misura il governo stimava di poter incassare circa 3,8 miliardi nel triennio 2012-2014; dalla seconda di ridurre le spese per circa 6 miliardi mentre dovrà accontentarsi di quattro. L’intervento sulle pensioni avrebbe dovuto in parte ridurre l’entità del buco. La Ragioneria dello Stato aveva stimato un risparmio di circa 1,5 miliardi a regime. Ma le pensioni non faranno parte della manovra e dunque rimane esattamente come prima il problema di definire le coperture. Servono sempre cinque, forse più, miliardi di euro.
Da ieri si riparla di aumento delle aliquote Iva (se quella ordinaria passasse dal 20 al 21 per cento arriverebbero circa 4 miliardi), dell’ennesimo condono sotto varia forma, di una rinnovata lotta all’evasione fiscale. Mentre resta intatto il ridimensionamento delle agevolazioni fiscali alle cooperative (715 milioni al massimo, secondo i tecnici) e il contributo a carico degli statali. Le porte girevoli, insomma, che hanno portato ieri sera Giuliano Cazzola, vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera, a dire pubblicamente quello che molti nel Pdl pensano: «Il problema è che da quello che capisco la maggioranza non sa più che pesci pigliare».
Incertezza nelle misure e, dunque, nelle coperture. Mentre il quadro macroeconomico peggiora. Il 20 settembre il governo dovrà presentare la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def). Difficile che non riveda le previsioni di crescita proprio alla luce degli effetti depressivi della manovra. L’hanno già fatto tutti, dal Fmi alla Confindustria. Nessuno pensa realistico un Pil all’1,1 per il 2011. Meno crescita vuol dire più deficit. E allora per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 serviranno altri 25-30 miliardi. Un’altra manovra. E una prospettiva greca.
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