Vertice a Parigi sul dopo-Colonnello “La scommessa è costruire democrazia”

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PARIGI – «La transizione democratica che comincia in Libia sarà  lunga e tormentata. Ora bisogna vincere la pace». Nel giorno in cui una sessantina di paesi e organizzazioni si riuniscono a Parigi per discutere della fase post-Gheddafi, l’esperto di geopolitica Hubert Védrine lancia un avvertimento. «L’Occidente deve abbandonare ogni forma di paternalismo. Evitiamo soluzioni già  pronte, cerchiamo di ascoltare le reali esigenze degli insorti», spiega l’ex ministro degli Esteri francese, già  portavoce dell’Eliseo ai tempi di Franà§ois Mitterrand.
Si parla del possibile invio di una forza di pace dell’Onu. È un’ipotesi che la convince?
«Quel che rende particolare la Libia, rispetto alle altre rivoluzioni arabe, è che ci troviamo davanti un paese dove non esistono i più elementari fondamenti di una società  moderna. I libici non hanno mai avuto elezioni, non sanno cos’è un parlamento. In questa fase dobbiamo distinguere gli aiuti economici per l’emergenza umanitaria, gli accordi per la ricostruzione infrastrutturale e, infine, la collaborazione per un nuovo assetto politico e giuridico del futuro Stato».
I rappresentanti del Consiglio nazionale di Transizione sono affidabili?
«Il Cnt deve diventare rapidamente qualcosa di nuovo, ovvero il primo governo democratico della Libia. E’ una grande responsabilità , si tratta di una scommessa dall’esito incerto. Non basta rovesciare un dittatore per ottenere una democrazia. Finora i diversi gruppi che compongono il Cnt si sono alleati in nome della battaglia contro Gheddafi. Ora dovranno superare differenze e contrasti per costruire un paese moderno».
Il presidente Nicolas Sarkozy si prende il merito di questa vittoria. Ha ragione?
«La Francia ha avuto un ruolo importante, Sarkozy e il ministro Alain Juppé, hanno guidato bene la coalizione. Ma non bisogna neanche esagerare. E’ un intervento basato sull’alleanza con la Gran Bretagna. L’America è rimasta dietro le quinte ma il suo contributo militare è stato decisivo all’inizio e alla fine dell’intervento. Infine, senza il sostegno della Lega Araba e la determinazione degli insorti di Bengasi, nessuno avrebbe potuto vincere la guerra».
La cattura o l’uccisione di Gheddafi è ancora essenziale?
«L’incertezza sulla sorte del raìs e della sua famiglia conta poco. Ormai il regime è finito. Gheddafi non potrà  mai più trovare forze militari sufficienti per riconquistare la Libia».
L’intervento occidentale in Libia potrebbe ripetersi in Siria?
«Il regime di Assad si sta sgretolando, è sempre più legato all’Iran e persino la Turchia, che ha tentato una mediazione, si è scoraggiata. Le minoranze in Siria, in particolare cristiani, druidi e curdi, che temevano l’avvento di un regime sunnita, ora stanno cambiando posizione. Eppure non ci sono ancora le condizioni per un intervento occidentale. La Lega araba non è compatta com’era per la Libia. E ogni volta che Francia e Stati Uniti hanno tentato di far approvare una risoluzione sulla Siria nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Cina e Russia si sono opposte. Non vedo una soluzione a breve termine».


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