Senza luce né gas, con il mitra sotto il divano

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TRIPOLI – Alle 12 Aisha, 63 anni, è già  sveglia e legge il Corano. Nella sua casa al 180 del quartiere Ghiran c’è ancora silenzio. Sono gli ultimi giorni del Ramadan e figli e nipoti che dall’inizio della rivoluzione si sono trasferiti da lei dormono ancora.
La famiglia
Dall’inizio della rivolta a casa di Aisha vivono i tre figli maschi (Shaban, 37 anni, Ahmed, 25 anni e Youssef, 22 anni), le due figlie (Asma, 30 anni e Omessaad, 34) e i figli sposati: Abdullah, 40 anni, Mohammed, 36 anni, e Rukia con il marito e 2 bimbi. In più Hadia, la cugina. In tutto 16 persone.
La mattina
Ahmed si alza verso l’una, deve controllare i motori delle auto di famiglia. Una, un pick up Toyota “liberato” da poco, è nel garage della famiglia di fronte, sospettata di essere legata al regime. «Lo sappiamo – dice Ahmed – ma non sono pericolosi». Anche il controllo degli Ak47 nascosti dietro il divano è compito di Ahmed. «Ne abbiamo cinque. Uno è cinese, è più nuovo ma meno buono di quelli russi» sottolinea.
La benzina e il cibo
Abdullah controlla le scorte di benzina e gas. Prima di febbraio ha fatto lunghe code ai distributori. «Dormivo lì e mi facevo dare il cambio da mio fratello» ricorda. Così ha accumulato un bel po’ di galloni raccolti in taniche sistemate in garage. «Siamo stati previdenti: 20 litri costavano tre dinari, ora 120». Le bombole di gas sono salite da 2 a 150 dinari l’una: «Però abbiamo fatto scorta anche di quelle». Youssef va al supermercato per comprare carne se ce n’è, datteri, quello che si trova. «La carne non è aumentata grazie all’assenza di corrente, costa 25 dinari al chilo – spiega Youssef – non potendola conservare in frigorifero sono costretti a venderla subito».
Le ragazze
Asma e le sorelle badano ai bimbi e pensano al pane. «Lo facciamo nel nostro forno – spiega Asma, che ha perso il lavoro in banca – abbiamo messo da parte sacchi di farina. Eravamo abituati a fare scorte di cibo. Abbiamo vissuto per anni con la tessera annonaria. In più i panettieri sono chiusi: erano in gran parte erano egiziani e marocchini: sono fuggiti all’inizio della rivoluzione».
La preparazione del cibo
Verso le 16,30 inizia la preparazione dell’iftar, la cena serale: le brick, frittate con uova e formaggio e il latte e le mandorle che precedono l’Isha, l’ultima preghiera. «Il problema è l’energia elettrica. Quando se ne va è una dramma, non siamo riusciti a trovare un generatore», dice Omessaad. Arrivano gli amici, Hadia ascolta le notizie e commenta: «Dicono che Gheddafi sia a Sirte o che sia ad Algeri. Io penso che si sia fatto una plastica facciale, sono mesi che non si fa vedere…».
La cena
Quando il sole tramonta Aisha e la sua famiglia possono finalmente mangiare e soprattutto bere. «Il metabolismo si adatta ma con questo caldo la sete è terribile» dice Aisha il cui terrore più grande, ancor più della guerra, è che qualcuno in casa si ammali. «Negli ospedali manca tutto. La gente ha raccolto l’appello del Cnt ed ha donato il sangue. È andata anche a fare le pulizie. Ma mancano le medicine e soprattutto i medici e gli infermieri. Nei mesi scorsi sono morte quasi tutte le persone che avevano bisogno di assistenza quotidiana, come i pazienti in dialisi». Un cognato di Hadia passa per dire che il Cnt ha dirottato a Tripoli una petroliera diretta a Bengasi e promette di dare benzina gratis a tutti. «Anche questa è la rivoluzione» sottolinea Hadia.
La notte
Dopo la cena e l’ultima preghiera si parla. «Senza luce né corrente abbiamo imparato a parlare molto: del nostro futuro, di quello che faremo dopo quaranta anni di Gheddafi. Ogni discorso finisce sempre con la stessa speranza: che lui sia catturato al più presto e processato in Libia – dice Medhi, il fratello di Hadia – mi piacerebbe vedere com’è davvero, senza i capelli tinti e le solite mascherate. Ecco, vorrei vederlo andare in giro come una persona normale, senza più privilegi. Credo però che l’uccideranno i suoi per nascondere i loro crimini e farne un capro espiatorio…».


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