Come minimo, lo sciopero
«La disoccupazione reale, calcolata aggiungendo ai dati Istat i numeri di chi è in cassa integrazione senza un futuro lavorativo, supera il 13%. La disoccupazione giovanile è sopra il 30%. Infine, e questo è forse il dato più preoccupante, un italiano su quattro vive al di sotto della soglia di povertà . Ma di questo non si parla, tutto il dibattito politico è concentrato sulla riduzione del debito». Sergio Cofferati snocciola dati impressionanti, «in peggioramento perché nell’anno in corso il Pil sarà inferiore a quello stimato», il che vuol dire che «non ci sarà occupazione aggiuntiva». In un contesto come questo, una manovra come quella del governo «che in altri tempi avremmo definito classista, rischia di produrre effetti sociali devastanti». Perciò l’europarlamentare del Pd condivide la scelta della Cgil, il sindacato di cui è stato segretario generale, di chiamare allo sciopero generale, «anche se la lotta sarà dura e bisognerà attrezzarsi a resistere nel tempo». Cofferati non capisce le perplessità , se non addirittura l’ostilità del suo partito rispetto alle ineludibili iniziative di lotta. «Ma sarà la dura realtà , sarà il precipitare della crisi sulla pelle dei più deboli a costringere il Partito democratico a rifare i suoi conti. I fatti sono più pesanti delle chiacchiere e degli equilibrismi».
Partiamo dalla manovra: classista e unicamente incentrata sulla riduzione del debito, dici. Qual è la filosofia che la anima?
Alla base c’è la cecità di chi crede che la riduzione del debito, pur importante, possa consentire l’uscita dalla crisi. Senza crescita dove vai? E con quale coesione sociale? Per crescere bisogna investire, ma nella manovra non ci sono investimenti. Io credo che gli eurobond e una tassa sulle transazioni finanziarie siano passi indispensabili per sostenere le popolazioni europee, arginare la speculazione e attivare politiche keinesiane classiche di investimenti. Dando la priorità alle infrastrutture – e non penso certo al ponte di Messina o ad altre opere faraoniche – alla conoscenza – scuola, ricerca, formazione – e alla qualità del lavoro.
Per fare tutto questo non credo che bastino gli eurobond e la Tobin tax.
È ovvio. Serve una scelta opposta a quella che anima la manovra governativa, ripeto, classista perché seleziona accuratamente i soggetti, le fasce sociali, le classi a cui far pagare la crisi e quelle da salvare dalla mannaia, a cui non si chiede alcun sacrificio. Sbaglia l’opposizione a sorprendersi, queste sono da sempre la linea e la pratica del governo Berlusconi. Per rimettere in moto il paese è ineludibile una tassa sui patrimoni, non si esce dalla paralisi con provvedimenti a carico in parte del ceto medio e in toto dei ceti più deboli. Intervenendo sull’Irpef e con i tagli, il governo costringerà gli enti locali a far pagare i costi agli utenti poveri e alle famiglie numerose abbattendo il welfare sociale, di cui probabilmente la famiglia di Emma Marcegaglia può fare a meno. Invece, bisogna girare lo sguardo sulle grandi ricchezze e sui patrimoni. Non serve denunciare l’evasione fiscale, piuttosto la si colpisca, non è poi così difficile: basterebbe mettere a confronto stili di vita e proprietà , barche e automobili di lusso e ville con le dichiarazioni dei redditi. Certo, i negozianti devono fare lo scontrino, ma senza dimenticare che il grosso dell’evasione viene da più su.
Crescita è una parola buona per tutte le stagioni. C’è crescita e crescita.
Penso anch’io che dobbiamo costruire un’altra idea di sviluppo. Obama aveva iniziato a parlare della sostenibilità ambientale (e sociale, aggiungo io) dell’economia, ma ora la crisi sembra aver derubricato il tema. Non dev’essere così per noi. Così come si tenta di strumentalizzare la crisi per colpire la dimensione sociale del lavoro, fatta di qualità , dignità , diritti, conoscenza. Che c’entra con questo il debito? Niente. Si tratta di un’operazione vistosissima, neanche camuffata, per modificare le relazioni sociali consolidate e la civiltà del lavoro. Ho trovato una conferma di queste mie riflessioni nei due articoli bellissimi di Umberto Romagnoli sul manifesto. Vengono stravolti i patti costitutivi, con l’introduzione del concetto che la contrattazione può modificare la legge, mettere in mora lo Statuto dei lavoratori, l’articolo 18. Si vanifica il contratto nazionale attraverso le deroghe, riducendolo a simulacro per i più deboli, in un paese in cui il 70% dei lavoratori non ha contrattazione integrativa. Il contratto nazionale è stato voluto proprio per uniformare le condizioni a vantaggio dei più deboli e tutelare le imprese dalla concorrenza sleale.
Per non parlare dell’effetto retroattivo inserito nell’articolo 8 della manovra.
È il riconoscimento e la generalizzazione del «contratto Fiat», compresa la clausola ad escludendum dei sindacati non firmatari, come ci ricorda sempre Romagnoli. È miope chi pensa che il problema riguardi solo la Fiom, domani in base a quel principio può toccare a tutti: si spinge verso la formazione di sindacati di comodo. La retroattività trasforma il modello Fiat in un modello generale, mentre dà a Marchionne la possibilità di restare in Confindustria, si impone alle aziende che avevano rifiutato di aderire alla filosofia del Lingotto.
Il governo dicono di aver scritto l’articolo 8 della manovra per sostenere l’accordo del 28 giugno tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil sui contratti e la rappresentanza.
Ho già testimoniato sul manifesto le mie critiche a quell’accordo, ma il fatto nuovo è che la manovra lo cancella. Inutile girarci intorno e raccontare fandonie.
Dunque, bene ha fatto la Cgil a indire lo sciopero generale?
Per far fronte a un disegno politico che mentre approfondisce le diseguaglianze sociali aggredisce diritti e agibilità sindacali, sarebbe ovvio che tutte le organizzazioni sindacali mettessero in campo grandi iniziative volte a parlare a tutti delle conseguenze sociali devastanti della manovra, nel medio ma anche nel brevissimo tempo. Lo denuncia con nettezza anche Famiglia cristiana, quando individua correttamente le vittime della ricetta Tremonti nelle famiglie e nelle fasce più deboli. Serve informazione, insieme a un confronto con gli enti locali, e insieme una campagna di lotta compreso lo sciopero generale. Se Cisl e Uil si chiamano fuori, alla Cgil non resta che andare avanti, anche da sola. Si tratta di un percorso impegnativo che non si esaurisce con uno sciopero generale, bisognerà attrezzare il movimento a durare nel tempo.
Sei stato segretario generale della Cgil e militi nel Partito democratico. Come vivi la posizione del tuo partito, passato dall’equilibrismo tra posizioni inconciliabili a una scelta netta: contro la Cgil che indice lo sciopero?
Per me è difficile comprendere la ratio di certe posizioni. Se il Pd ha un’ipotesi alternativa a quella del governo, e ce l’ha, avrà pur bisogno di sostenerla. Nessuno può essere così sciocco da pensare che l’unico modo per sostenerla sia il dibattito parlamentare, servono iniziative politiche. Tanto più che l’opposizione da tempo sostiene che la crisi è grave, in Italia è più pesante che altrove mentre il governo l’ha sempre ignorata o nascosta. Allora, ripeto, bisogna sostenere con le iniziative politiche e la mobilitazione le proprie scelte alternative, spiegandole alla gente. Che senso ha sorprendersi o addirittura manifestare insofferenza se la Cgil si incammina sulla strada della mobilitazione e lo fa con gli strumenti che ha, cioè con lo sciopero? Già in autunno gli effetti del combinato disposto crisi più manovra provocherà conseguenze pesanti. Credo fermamente nell’autonomia reciproca tra sindacati e partiti, però ora l’opposizione dovrebbe rendersi conto che i suoi obiettivi sono oggettivamente più simili a quelli della Cgil che non a quelli del governo.
Credi che sia ancora possibile una battaglia per ricollocare il Pd su posizioni più comprensibili?
Credo che la sofferenza dell’autunno ci chiamerà in causa tutti, per dare orizzonti politici e sociali al peggioramento della vita dei ceti più deboli e più colpiti. I fatti sono duri, ci costringeranno realisticamente a ricollocarci. Vedi, in Italia non ci sono mai stati conflitti durissimi come in altri paesi europei grazie alla presenza di corpi intermedi che hanno garantito una mediazione sociale. Ora sono a rischio proprio questi corpi intermedi, penso anche agli enti locali a cui vengono sottratti strumenti e risorse che storicamente hanno consentito di evitare l’esplosione di conflitti incontrollati, grandi esplosioni sociali. Se questa rete si rompe, se le sue maglie si strappano e si stanno strappando, tutto diventerà più complicato. Questi sono i fatti che dovranno far riflettere tutti, anche il mio partito.
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