Prigionieri in Libia per un mese

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Altri tre italiani impigliati nella rete libica. Le storie arrivano frammentarie dal terreno degli scontri tra lealisti e ribelli, dove la linea del fronte si sposta di continuo e i confini tra fazioni sono sempre più indistinti. La notizia compare in serata, confermata nella notte da Farnesina e Ministero dell’Interno: tre connazionali dei quali da settimane si erano perse le tracce sono in salvo.
Poco chiari i contorni della vicenda. Sono stati gli stessi tre uomini a rivelare le proprie generalità : Antonio Cataldo, 27 anni, di Chiusano di San Domenico in provincia di Avellino; Luca Boero, 42 anni, genovese; Vittorio Carella, 42 anni, di Peschiera Borromeo in provincia di Milano. Nessun dettaglio trapela sui motivi della loro presenza in Libia. Agenti dei servizi impegnati a raccogliere informazioni sensibili o «contractor» con compiti di sicurezza per conto di un’azienda italiana? O ancora figure ibride, 007 e incursori addestrati per operazioni di salvataggio? Uomini ombra capaci di affiancare le sbandate truppe dei ribelli e insieme tutelare gli interessi nazionali in Libia, armati di telefoni satellitari e radio criptate, in grado di assestare duri colpi al sistema di difesa del regime. Per profili di questo tipo, l’impiego come contractor è spesso pensato come copertura in caso di cattura. La vicenda ricorda il sequestro lampo di due agenti del Sismi nel 2004 in Iraq: il rapimento tenuto sotto traccia, voci non confermate di riscatto, un altro caso avvolto nel mistero.
Secondo le prime ricostruzioni gli uomini sono stati presi da truppe fedeli a Muammar Gheddafi lo scorso 23 luglio nel territorio di confine tra Libia e Tunisia. Sarebbero stati dei tunisini a tendere la trappola per rivendere gli ostaggi ai gheddafiani. Gli italiani raccontano di essere stati malmenati, ammanettati e bendati, per essere poi trasferiti in un carcere di Tripoli, forse Maya a 25 chilometri dal centro, più probabilmente la famigerata prigione di Abu Salim, simbolo della repressione del regime, teatro di violazioni dei diritti umani denunciate da Amnesty International e del massacro di 1.200 prigionieri politici nel 1996. Un inferno lungo un mese.
La sera del 21 agosto i ribelli hanno sfondato i cancelli del carcere di Abu Salim, gli italiani potrebbero essere fuggiti insieme agli altri detenuti e aver trovato rifugio nella casa di un ribelle. Stivali e borse militari, visibilmente scossi, si sono presentati nel primo pomeriggio di ieri alle porte del Corinthia, l’hotel dove si trovano gli inviati della stampa internazionale che coprono i combattimenti nella capitale. Dovevano partire con una nave diretta a Malta, la stessa che avrebbe riportato in Italia i giornalisti sequestrati mercoledì e che invece è rimasta all’ancora nel porto di Tripoli. Sotto la protezione dei ribelli e con l’aiuto dei nostri servizi segreti, potrebbero prendere la via di casa questa mattina.


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