Il romanzo criminale di Alemanno
Chissà se il sindaco Alemanno si rende conto di quanto siano insulse e patetiche le sue considerazioni a commento dell’ultimo morto ammazzato a Roma, il ventinovesimo dall’inizio dell’anno. Sostiene che ci si spara addosso per le strade della città come effetto imitativo delle gesta gangsteristiche della banda della Magliana, riproposte di recente da una serie televisiva tratta dal Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo. Le sparatorie digitali tra il Libanese e il Teribile, i misfatti del Dandy, le spedizioni del Bufalo, la parabola insomma della storica banda che imperversò negli anni settanta sarebbero diventati il modello comportamentale di pischelli e pischelletti, talmente suggestionati da prendere a pistolettate chiunque attraversi il loro cammino.
A questo punto è sperabile che tali argomentazioni siano solo un goffo tentativo di sdrammatizzare l’immagine di una città ormai in balia della violenza. Diversamente, oltre ad angustiarci per l’intensificazione dell’impatto malavitoso e criminogeno, a Roma dovremmo cominciare a preoccuparci anche per la tenuta psico-istituzionale del sindaco. Prigioniero di se stesso, di quel ruolo parapoliziesco con cui si era rivolto alla città , promettendo che l’avrebbe liberata da angosce e insicurezze, oggi si ritrova a contabilizzare un sensibile incremento di coefficienti di criminalità , più o meno coincidente con il suo mandato amministrativo. Dalla sua può tuttavia rivendicare una manciata di ordinanze contro lavavetri ai semafori e bicchierate di piazza, più qualche incursione serale, in sella a una motocicletta, a caccia di prostitute e papponi, oltre a un’imprecisata serie di sgomberi di campi nomadi.
Non sono gli immigrati, le comunità rom, i tanti poveracci che vagano, i problemi di questa città . Non sono loro a minacciarla, come sostiene la destra. Semmai è proprio dalle intolleranze e dal razzismo che affiorano comportamenti sociali rancorosi e incattiviti: aggressioni, spedizioni punitive, violenze sessuali, bastonate e puncicate.
Alimentando le paure e scaricandole sui più deboli, è questa la Roma che Alemanno ha finito per offrirci.
Ed è in questo quadro desolato, con una città disorientata e incattivita, oltreché impoverita socialmente e culturalmente, che è in corso un tentativo strategico di insediamento criminale nel tessuto economico romano. Un tentativo che intanto sta progressivamente impossessandosi del sistema operativo della criminalità locale, disarticolando equilibri consolidati, eliminando chi fa resistenza o stringendo nuove alleanze.
Un processo che di certo determinerà nuove linee di comando: da cui non sembrano estranee le potenti organizzazioni camorriste e ‘ndranghetiste, bisognose di riversare e riciclare i loro giganteschi profitti illegali in una rete immobiliare e commerciale sostanzialmente «pulita» come quella romana; il recente sequestro di storici e prestigiosi locali, segretamente acquistati da alcuni clan, ne è una clamorosa dimostrazione.
Di fronte all’impatto «politico» della grande criminalità organizzata, quella locale non sembra nutrire troppe speranze. Soprattutto perché nella malavita romana non c’è mai stata una tradizione familista o gerarchica (tranne, appunto, il caso della banda della Magliana), ma un reticolato di «liberi professionisti» che gestiscono ciascuno il proprio pezzetto d’illegalità , in una sorta di rispettosa reciprocità .
È da questo conflitto che negli ultimi tempi si sono cominciati a contare gli omicidi, nelle periferie come nei quartieri storici. Forse l’ultimo ragazzo assassinato martedì sera in una pizzeria di Morena, con tutto ciò c’entra poco: neanche vent’anni. Volontario della Croce rossa, l’ultimo respiro rivolto alla madre. Ma che a Roma stia succedendo qualcosa di molto grave e pesante, che si stia svolgendo un vero e proprio romanzo criminale, tutto ciò sembra sicuro.
Sarebbe il caso di spiegarlo anche al sindaco. Sempre che sia in grado di capirlo.
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