Sogni di carta a peso d’oro ecco il business milionario della premiopoli dei libri

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ROMA – Oggi è una giornata importante per l’editoria italiana: si assegnano cinque premi letterari. Uno per la poesia e un altro per i racconti brevi. Poi c’è quello per i romanzi inediti, quello per i saggi e lo storico Viareggio. Anche domani è una giornata importante: in cartellone ci sono altri cinque premi, tra cui il Capalbio. E così dopodomani e dopodomani ancora. Perché ogni anno in Italia si tengono ben 1800 concorsi letterari, un numero arrotondato per difetto che sembrerebbe rendere giustizia a un popolo di poeti, scrittori e romanzieri. Eppure, ascoltando chi ha passato anni a inviare opere a misteriose giurie, si scopre una realtà  diversa, tutt’altro che limpida. Lontano dai riflettori dei premi che contano, dallo Strega al Campiello, dal Bagutta al Calvino, lontano dai concorsi poco qualificati ma tutto sommato innocui, emerge una girandola di gare improbabili, sfornate in serie da professionisti e minuscole case editrici, un mondo dove i sogni di carta si pagano a caro prezzo e dove, tra tasse d’iscrizione, spese di segreteria e contributi pubblici, il giro d’affari supera 11 milioni di euro. Chi sono gli organizzatori di questa premiopoli tutta italiana? Che cosa promettono e a chi si rivolgono? E perché gli esordienti, riuniti in gruppi di guerriglia editoriale, puntano il dito contro il mercato?
L’INDUSTRIA DEI PREMI LETTERARI
L’Italia è il paese al mondo con più premi letterari. Lo era già  nel ‘99 quando Giuliano Vigini, esperto del mercato del libro, decise di farli censire. «Ne catalogammo 1200, scoprendo che crescevano al ritmo di una novantina l’anno. Anche tenendo conto di quelli che muoiono nel giro di poche edizioni oggi arriviamo a 1800». Nella lista troviamo concorsi illustri come lo Strega, vinto 24 volte dalla Mondatori, 12 dalla Rizzoli e 11 dall’Einaudi. Prestigiosi come il Campiello, il Bancarella, il Bagutta e il Viareggio, che dopo avere attraversato il Novecento con alterne fortune rischia lo sdoppiamento per una lite tra gli storici organizzatori e il Comune. Fino a qualche anno fa c’era anche il Grinzane, oggi rinato grazie alla fondazione Bottari Lattes, ma al tempo trascinato nella polvere dal suo fondatore, il professore universitario Giuliano Soria. Sotto processo, è accusato di avere trasferito denaro dalle casse del premio alle sue personali, distraendo fondi per oltre un milione e mezzo di euro. «Poi ci sono concorsi nati per emulazione – continua Vigini – e i premi organizzati per animare la vita culturale di una provincia, per ricordare un autore del posto o per invitare alla lettura». Ognuno ha una sua dignità  e una ragione di esistere, ma anche sommandoli tutti non arriviamo a quota 1800. Il Centro per il libro e la lettura, in una indagine promossa tre anni fa, ne selezionava un centinaio come interessanti. E gli altri 1700?
SCRIVI, PAGA E VINCI
Mimetizzato nel sottobosco dei micro premi si nasconde il mondo dello «scrivi, paga e vinci» in cui si aggirano ogni anno gli aspiranti scrittori, i protagonisti di quella che Umberto Eco quarant’anni fa chiamava «la quarta dimensione». Giovani con ambizioni letterarie e insospettabili vicini di casa, disposti a pagare pur di pubblicare libri destinati all’invisibilità . Si aggirano nervosi ai margini di una industria che fattura quasi tre miliardi e mezzo di euro l’anno. Bussano alle porte delle oltre settemila case editrici con un unico chiodo fisso: come mostrare al mondo di avere talento. Da qui ai concorsi il passo è breve e alla portata di tutti, bastano pochi euro. Paola Campanile, poetessa il cui talento è stato riconosciuto dopo lunghi anni di gavetta da un editore come Marsilio, ha vissuto nel sottobosco dei premi letterari per circa un decennio. Scriveva, pagava la tassa di lettura, vinceva. E ricominciava da capo: «Ho accumulato un baule di pergamene e medaglie. Che piacere è stato buttare tutto, liberarmi di quell’inutile testimonianza». Inutile ed esasperante visto che dopo le sue prime partecipazioni, ha iniziato a essere contattata per concorsi di cui ignorava l’esistenza. «Ho avuto l’impressione che esistesse una specie di indirizzario, che alcuni organizzatori si scambiassero i nomi dei partecipanti». Se i nominativi degli esordienti valgono tanto da essere schedati in un computer, qual è il guadagno?
LA TASSA DI ISCRIZIONE
Miriam Bendìa, autrice di un libro che qualche anno fa fece clamore – Editori a perdere (Stampa Alternativa) – individua due livelli: «Il primo è quello rappresentato dalle tasse di lettura o dalle spese di segreteria. Le cifre richieste non sono altissime, variano da 5 a 50 euro e l’incasso dipende dal numero di concorrenti». Spulciando i siti specializzati nella promozione dei concorsi si nota come più del 70% dei micro premi preveda un contributo economico. Calcolando una media di 10 euro e ipotizzando 100 partecipanti a concorso (ma non mancano le eccezioni con migliaia di iscritti) si può stimare un volume di affari superiore al milione di euro. Cifra ragguardevole, ma insufficiente a descrivere il vero business. «Che è legato all’editoria a pagamento. Chi partecipa a un concorso – continua Bendìa – spesso riceve una lettera in cui gli si comunica che la sua opera può essere pubblicata, ma solo con il suo contributo economico». Qualcosa di simile succede con il principale editore a pagamento d’Italia, Albatros-Il filo, anche se in questo caso non si parla di concorso ma di selezione. Gli aspiranti scrittori riuniti nel sito Writer’s Dream hanno tentato la sorte inviando un fritto misto di cento pagine, un copia e incolla volutamente sconclusionato di blog e articoli di giornale. Risultato? Una lettera in cui si proponeva loro la pubblicazione, a pagamento ovviamente. I sognatori si sono presi una rivincita: nel 2010 al salone del libro di Torino hanno sventolato contratto e manoscritto sotto il naso della direttrice editoriale. Immancabilmente il tutto è finito su YouTube. E non era neanche la prima volta, visto che un esperimento simile era stato già  raccontato dalla giornalista Silvia Ognibene nel suo Esordienti da spennare (Terre di Mezzo), libro-inchiesta sull’editoria corsara.
I CONTRIBUTI PUBBLICI
Moltissimi i concorsi patrocinati da Comuni, province e regioni, organizzati dalle Pro Loco e dalle parrocchie come nel caso “Madonna dell’Arco” a Castellamare di Stabia. Ci sono poi i derby poetici, le competizioni in estemporanea e decine di altre fantasiose varianti come quelle organizzate dall’Accademia Francesco Petrarca di Capranica (Viterbo). Un mondo in continua moltiplicazione che spesso si avvale di sostegni pubblici. Il caso più eclatante? Il vecchio Grinzane, che incassava dalla Regione Piemonte, dalle fondazioni bancarie e da altri enti quasi cinque milioni di euro. Quei tempi sono finiti e oggi si stima, facendo una media di 5.500 euro a premio, che i concorsi ricevano contributi per complessivi dieci milioni. Ma sono veramente gli aspiranti poeti o scrittori a beneficiare di un simile flusso di denaro? Leggendo “Il rifugio degli esordienti”, un sito che da 14 anni raccoglie le testimonianze degli autori, la risposta è un secco no. Racconta il fondatore Maurizio J. Bruno: «Si rivolgono a noi autori che dopo avere vinto innumerevoli premi, si ritrovano il garage pieno di libri, pubblicati a pagamento e mai arrivati sugli scaffali delle librerie». Perché, a dispetto della logica, c’è chi continua a collezionare riconoscimenti fragili come carta?
GLI ORGANIZZATORI DI CONCORSI
Gli americani la chiamano vanity press, la vanità  dell’autore che si ritiene appagato nel vedere il suo nome stampato su una rivista o sulla copertina di un libro. In Italia si accompagna alla vanity prize e l’effetto combinato delle due debolezze umane rappresenta un mercato inesauribile. Accade così che sempre più spesso facciano la loro comparsa associazioni culturali e accademie attivissime nel sottobosco dei micro premi. C’è la salernitana “Gli occhi di Argo” che organizza “L’almanacco dei cicli celesti” (50 euro per la pubblicazione) e un calendario delle pin-up da comporre grazie a inedite poesie sul nudo femminile (chi viene selezionato s’impegna all’acquisto di 10 copie versando 80 euro per il collettivo o 150 per il monografico). Decisamente prolifica la Hermes Academy di Taranto. Il direttore creativo chiede ai partecipanti 10 euro di spese di segreteria per svariati premi: “Anima di Latta”, “Funambolo del cielo”, “Rette parallele”, “La freccia di Cupido”… Altre associazioni legano la poesia al turismo: è il caso degli Amici dell’Umbria che ne organizzano una dozzina «nell’intento di riproporre il messaggio d’amore e di pace degli uomini più illustri della nostra terra». E spesso non serve neanche vincere, basta cercare uno dei tanti concorsi in cui l’importante è partecipare. Ad esempio in Ciociaria il bando della quinta edizione del premio di poesia “Giorgio Belli” riserva premi in denaro ai primi classificati, ma pubblica in una antologia tutte le liriche inviate. A parziale copertura delle spese gli organizzatori chiedono un contributo di dieci euro. Stesso discorso in Toscana con il premio il “Forte 2011” dedicato a poesie e racconti.
EDITORIA A PAGAMENTO
«L’editoria a pagamento non è editoria, così come i premi che propongono la pubblicazione a spese dell’autore non sono veri premi letterari». È lapidario Marco Polillo, presidente dell’Associazione italiana editori. E le sue parole la dicono lunga sul peso che le case editrici assegnano ai curricula infarciti di riconoscimenti degli esordienti: solo carta. L’opinione è condivisa anche da piccoli editori che cercano di fare il loro lavoro seriamente, anche se stretti in un imbuto: da una parte i giganti dell’editoria che si dividono il 93% del fatturato, dall’altra chi si è ricavato un mercato sulla pelle (e sulle aspirazioni) degli esordienti. Aldo Moscatelli della casa editrice “I sognatori” ha dedicato al meccanismo dei concorsi un capitolo del pamphlet “Le invio un manoscritto, attendo contratto”, pubblicato su Internet e in un anno scaricato già  1800 volte. «I premi lasciano quasi sempre l’amaro in bocca. Quelli più prestigiosi non sono accessibili ai piccoli editori, gli altri, nel migliore dei casi, tendono a premiare gli autori già  famosi per via del ritorno d’immagine. Spesso, l’inappellabile giudizio della giuria risulta del tutto incomprensibile». Il desiderio di scrivere è tale da autoalimentare il mercato. E così si crea un corto circuito tra domanda e offerta. Ed è questo il rischio vero che corre chi ha sogni di carta, il gioco sporco di premiopoli. «Gli esordienti devono interrompere la catena, rifiutarsi di partecipare a questo tipo di concorsi, evitare di pubblicare a pagamento», dice Mirian Bendìa. O forse basterebbe ricordare come Montale reagì quando per telefono gli comunicarono che aveva vinto il Nobel. Lo scrisse Giulio Nascimbeni, che insieme a Gaspare Barbiellini Amidei, quel giorno era presente. «Dovrei dire cose solenni immagino. Mi viene invece un dubbio: nella vita trionfano gli imbecilli. Lo sono anche io?».


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