L’Italia teme una missione sul terreno

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ROMA – «Sarkozy si deve muovere in modo spettacolare perché vuole entrare in Libia, uno scenario dove è nuovo. Noi invece a Tripoli ci siamo già  da anni, ci conoscono bene e possiamo lavorare in modo più discreto». Mentre il presidente francese annuncia il vertice internazionale di Parigi sulla Libia, Silvio Berlusconi è ad Arcore impegnato a preparare l’incontro di oggi con il primo ministro del Consiglio nazionale transitorio libico, Mahmud Jibril. Il premier ostenta tranquillità , anche se doveva essere lui il primo a vedere il leader libico (Parigi lo ha battuto sul tempo) ancora una volta è convinto che, come sulla crisi economica, l’attivismo di Sarkò non lo porterà  lontano. Poi la notizia del rapimento dei giornalisti italiani riporta alla sua mente le ombre del recente passato. Al telefono con un amico si sfoga: «Dopo tutte le minacce che mi ha rivolto sarò tranquillo solo quando Gheddafi lo cattureranno e questo bagno di sangue finirà ». E pensare che proprio oggi Jibril dovrebbe annunciare la formazione di un Consiglio di sicurezza nazionale per garantire l’ordine a Tripoli.
Sulla Libia regna ancora l’incertezza, tra rischi di polverizzazione irachena e speranze di stabilità . Scenari che potrebbero avere ricadute anche sul governo italiano. La Lega da mesi punta i piedi perché la missione libica finisca a settembre e se l’accelerazione che ha portato alla battaglia di Tripoli ha fatto tirare un sospiro di sollievo al governo, le voci che rimbalzano dalle cancellerie europee sulla possibilità  di mandare truppe di terra per garantire l’ordine mettono i brividi. Se poi fosse l’Onu a votare una missione di Caschi blu, tirarsi indietro sarebbe peggio che mandre in frantumi i rapporti tra Pdl e Lega. Ma la notizia, riservata, che per ora tranquillizza il premier arriva tramite la Farnesina da New York: al Palazzo di vetro gira una prima bozza di risoluzione che parla di un team di stabilizzazione composto da truppe esclusivamente arabe ed africane in coordinamento con l’Unione africana. Insomma, spiega un ministro italiano, «questa missione chiesta dagli africani – irritati dalla presenza dei soldati occidentali in Libia – lascerebbe fuori gli europei e ci risolverebbe un problema». Tema sul quale il premier insisterà  con l’ospite libico.
Oggi intanto incontrando Jibril Berlusconi capirà  se il suo ottimismo sulla leadership italiana sia fondato o meno. I due insisteranno sul punto che Gheddafi si deve arrendere. Nel qual caso per l’Italia dovrebbe essere processato per crimini contro l’umanità  di fronte dalla Corte penale internazionale dell’Aja. Poi si guarderà  al futuro italiano in Libia. Jibril dovrebbe poi firmare il ripristino degli impianti dell’Eni, che in Libia manderà  delle squadre per la loro riattivazione. Team ai quali si aggiungerebbero quelli inviati dal governo per la ricostruzione: esperti di vari ministeri e intelligence sul modello afgano per aiutare il Cnt all’addestramento di polizia e Guardia costiera (anche in chiave anti-immigrazione).
Sarà  quindi il turno dei soldi, con il governo che confida di diventare il primo finanziatore del Cnt, un segno tangibile dell’amicizia italiana verso gli insorti – nelle cui mani ci sarà  il destino delle nostre aziende in Libia – che si spera faccia dimenticare le titubanze di Berlusconi sulla guerra a Gheddafi. Ci sarà  l’annuncio che già  settimana prossima dalle nostre banche si riverseranno su Tripoli 450 milioni di euro (300 cash, 150 tramite forniture di petrolio) garantiti dai beni congelati al governo di Gheddafi. Un modo per finanziare il Cnt prima che Onu ed Unione europea tolgano le sanzioni imposte all’inizio della guerra. «Saremo gli europei che danno più soldi», dicono alla Farnesina speranzosi che la nostra posizione non sia stata offuscata dalla leadership di Sarkozy e Cameron.


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