Gli ultimi bastioni degli irriducibili sul mare e nel deserto
La città natale di Sirte. Una grande base nell’oasi di Sebha. Alcune località minori. Gli irriducibili di Muammar Gheddafi tengono queste posizioni e cercano anche di portare colpi contro gli avversari. Con la catena di comando spezzata, i movimenti ridotti al minimo nel timore dei raid della Nato, i lealisti non hanno molta scelta. I due avamposti sono gli unici dove i soldati possano contare su scorte, viveri e materiale bellico.
I ribelli, dopo aver attaccato Tripoli, hanno spostato la loro attenzione su Sirte. Tre giorni fa hanno annunciato di voler trovare una soluzione pacifica ed hanno chiesto ai filo-Gheddafi di deporre le armi. Per tutta risposta, i governativi hanno risposto con colpi di mortaio e almeno 3 missili Scud. Da Ras Lanuf, importante snodo petrolifero della Cirenaica, sono arrivati altri reparti costretti a ripiegare sotto l’attacco degli insorti. Il piano dell’opposizione è di evitare — se possibile — un assalto sanguinoso. Ma, intanto, si preparano a stringere la morsa sulla città . Una colonna si è mossa da Ovest con una duplice missione: evitare nuove sortite degli assediati e accrescere la pressione. Una seconda colonna sta invece arrivando da Est lungo la litoranea. Una manovra da condurre con cautela. Attorno a Sirte, i lealisti hanno creato un sistema difensivo composto da sbarramenti, trincee, bunker e campi minati. La Nato, durante questi mesi, ha condotto numerose incursioni ma — secondo fonti dell’opposizione — non paragonabili a quelle lanciate in altre parti della Libia. A Sirte la maggioranza della popolazione è con Gheddafi e per l’alleanza è complicato giustificare i bombardamenti. Inoltre, quando gli insorti hanno provato ad avvicinarsi hanno sofferto una pesante sconfitta. Le strade d’accesso sono limitate e il terreno desertico favorisce il fuoco di chi difende. Una storia che si è ripetuta in queste ore quando la marcia dei ribelli è stata rallentata all’altezza di Ben Jawad, località dove vi sono forti concentramenti di reparti lealisti.
Gli osservatori ritengono che la soluzione per Sirte potrebbe arrivare con una mediazione condotta dagli «anziani» delle tribù. Avevano già provato a farlo, senza successo, in primavera. Ma tutto è legato alle sorti di Gheddafi. Finché resta latitante, è improbabile che la sua città lo abbandoni. Anzi, secondo alcune voci, non sarebbe una sorpresa se la Guida avesse trovato rifugio proprio a Sirte. La posizione della località è rilevante. Da qui parte una strada che conduce, attraverso il deserto, fino all’oasi di Sebha, l’altra base ancora nelle mani dei governativi.
Il Consiglio di Bengasi ha fotografato così la situazione di Sebha: il comandante della «piazza» è passato con gli insorti, ma il gigantesco complesso militare all’esterno della città è controllato dai lealisti. Da qui, ogni tanto, sparano razzi e cannonate per tenere a bada gli oppositori. Al tempo stesso le Brigate devono mantenere aperta la via verso Sud. Prima dell’inizio della guerra e nelle settimane successive, il regime ha ricevuto rifornimenti militari lungo questa direttrice. Si è anche detto che l’aeroporto avesse accolto aerei carichi di mercenari africani poi inviati verso le zone dei combattimenti. Una storia giudicata credibile da alcuni analisi e esagerata per altri. Come Sirte, anche Sebha è stata inserita nell’elenco — ormai lunghissimo — su dove potrebbe nascondersi il Colonnello.
In queste giorni in Libia tutto è possibile. Cambi di fronte e di casacca. Tradimenti e intrighi. Gli stessi insorti hanno confermato che l’ingresso a Tripoli è stato favorito dalla collaborazione di un alto ufficiale responsabile dei reparti schierati a difesa della capitale. Mohammed Eshkal — questo il suo nome —, capo della brigata Megrayef, era considerato vicino al clan Gheddafi. Ma nella storia con il dittatore c’era un’ombra nera: l’uccisione — per ordine del regime — di un suo cugino. Un affronto che Megrayef non ha mai dimenticato. E quando ha visto che i ribelli erano vicini ha accettato di trattare e si è fatto da parte. Questo avrebbe permesso all’opposizione di avanzare rapidamente. Un esponente della resistenza ha rivelato un aspetto particolare: «Non mi fido troppo di quelli che hanno tradito all’ultimo. E non mi fidavo neppure di Megrayef. Perché a lui non importava nulla della rivoluzione o del potere. Per 20 anni ha covato l’odio verso la Guida, poi quando si è presentata l’occasione si è vendicato». Sono molti a guardare con sospetto i pentiti dell’ultima ora. Nel loro cuore — spiegano — c’è sempre il terrore di Gheddafi e dunque potrebbe cambiare idea una seconda volta.
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