E la Cina ora teme un nuovo Afghanistan

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 PECHINO. E ora? Il timore del governo che negli ultimi anni ha scommesso di più sulle risorse africane è che gli occidentali che hanno scatenato la guerra non abbiano un piano coerente per «il dopo» e che con la caduta del regime di Gheddafi la Libia si trasformi in un nuovo Afghanistan. «La Cina rispetta la scelta del popolo libico, spera che la Libia si stabilizzi presto e che la popolazione torni a una vita normale» ha dichiarato ieri Ma Zhaoxu. Il portavoce del ministero degli esteri ha aggiunto che «la Cina si offre di lavorare con la Comunità  internazionale per giocare un ruolo costruttivo nella futura ricostruzione della Libia».

La Repubblica popolare riceve dal Nord Africa e dal Medio Oriente circa metà  del petrolio che importa per alimentare le sue fabbriche e un mercato dell’auto che dal 2005 al 2010 è balzato da quattro a 15 milioni di macchine vendute ogni anno. Negli ultimi tempi i rapporti tra il Colonnello e Pechino si erano incrinati. Gheddafi aveva accusato di «colonialismo» la Repubblica popolare, che a Tripoli ha in ballo grossi investimenti non solo in campo petrolifero (la Libia è il suo undicesimo fornitore di greggio), ma anche in infrastrutture ferroviarie e delle telecomunicazioni. Interessi «sospesi» dal febbraio scorso, quando dal paese in fiamme furono evacuati 30 mila lavoratori cinesi. Già  nel settembre 2009 il rais aveva bloccato l’acquisto, per oltre 400 milioni di dollari, della Verenex – una compagnia canadese che aveva scoperto in Libia ingenti riserve di greggio – da parte della China national petroleum corporation. La Verenex era stata subito dopo comprata, con uno «sconto» del 25%, dalla Lybian investment authority.
«Prestiti a tassi praticamente nulli, abolizione delle tariffe doganali sui prodotti africani, finanziamento di imponenti infrastrutture, cooperazione tecnica e militare, sostegno diplomatico a istanze africane, non ingerenza negli affari interni dei nuovi alleati: sono i pilastri del modus operandi cinese in Africa» sottolinea Barbara Onnis nel volume «La Cina nelle relazioni internazionali». Con l’inizio dei combattimenti, Pechino aveva ostentato neutralità , chiedendo più volte una soluzione negoziale. Nel marzo scorso però si era astenuta in Consiglio di sicurezza dell’Onu, permettendo l’approvazione della Risoluzione 1973 che ha dato il via libera agli attacchi della Nato. E negli ultimi mesi funzionari cinesi avevano incontrato più volte i ribelli anti-Gheddafi fino a quando, il 22 giugno scorso, durante un incontro a Pechino con il suo leader Mahmoud Jibril, il ministro degli esteri Yang Jiechi aveva definito il Cnt come «un importante partner di dialogo». Un riconoscimento di fatto dei ribelli. E un insolito attivismo diplomatico di Pechino, in cambio del quale Jibril ha promesso che tutelerà  gli interessi della Cina. Il «regime change» in Libia a Pechino sembra un’opportunità . Sempre che Tripoli non diventi la nuova Kabul.


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