«Scelta irragionevole E non fa risparmiare»
Un caos. Un legislatore confuso che ignora o dimentica. Gli studiosi descrivono così gli articoli della manovra bis, il decreto legge 138 che da ieri è all’esame delle commissioni del senato, che impongono la soppressione delle province sotto i 300mila abitanti e sotto i 3mila km quadrati di territorio. Un dettaglio, quest’ultimo, che casualmente ‘salva’ la provincia di Sondrio, quella da cui proviene il ministro Tremonti, primo estensore del testo. I guai iniziano da questioni formali che, come sempre, finiscono fatalmente per trasformarsi in sostanza. Ce lo spiega il professor Stelio Mangiameli, studioso del federalismo, docente di diritto costituzionale all’università di Teramo e direttore dell’Istituto di studi sui Sistemi Regionali e sulle Autonomie del Cnr.
Professore, iniziamo dal punto che in molti indicano come cruciale: le province possono essere soppresse con un decreto?
Per modificare le province serve una legge ordinaria dello stato. Per le circoscrizioni comunali invece la legge è di competenza regionale. Ma in entrambi i casi bisogna seguire il procedimento indicato dall’articolo 133 della Costituzione, che al primo comma recita: «Il mutamento delle circoscrizioni provinciali» è stabilito «con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione». E invece cosa fa l’articolo 15 del decreto 138? Dichiara semplicemente soppresse le province sotto i 300mila abitanti, oppure con una superficie inferiore ai 3mila km quadrati. E poi, richiamando il procedimento dettato dalla Costituzione, dispone che i comuni debbano «esercitare l’iniziativa» di cui all’articolo 133, senza dare alcuna indicazione. Per cui può darsi il caso che alcuni comuni vogliano andare con una provincia e altri con un’altra. E se non lo fanno – aggiunge aggiunge il decreto – «le funzioni esercitate dalle province soppresse sono trasferite alle regioni», che possono attribuirle ai comuni delle province soppresse o alle province limitrofe, come se fosse indifferente e se funzioni non avessero una loro specificità territoriale e dimensionale.
Un labirinto normativo?
Può nascere una confusione totale. Per non dire di altri aspetti della norma. Molise, Basilicata (Matera forse si salva con il criterio dei km quadrati, ma il problema rimane, perché la Basilicata come regione non ha un dimensionamento adeguato) e l’Umbria si verrebbero a trovare nella condizione in cui la regione coincide con la provincia. Non dico che sia un’ipotesi fuori dal mondo. Ma si tratta non solo di tagliare e ridurre, quanto soprattutto di capire che regionalismo stiamo costruendo e che tipo di governo locale vogliamo organizzare per servire i cittadini.
Morale: questa norma non semplifica?
Questa norma non semplifica niente, anzi. Di fatto prevedo una grande complicazione a fronte di un articolo di decreto che somiglia più ad un manifesto che ad una disciplina giuridica. L’articolo 15 del decreto è totalmente irragionevole, perché non tiene conto delle esigenze del territorio. Le province come ente di area vasta, con la vocazione alla gestione delle reti dei servizi, è realmente insopprimibile; il loro dimensionamento dipende da tanti fattori e non solo dalla popolazione residente, o dalla superfice; basti pensare all’orografia, alla collocazione delle risorse naturali, all’infrastrutturazione esistente. Il problema di un corretto dimensionamento di province e regione esiste nel nostro paese, ma va affrontato alla luce di una pianificazione strategica dei territori condivisa dai diversi livelli di governo, per cui una provincia piccola potrebbe avere una funzione specifica, come nel caso della provincia di La Spezia la cui orografia e i cui interventi sono legati al territorio delle Cinque Terre, mentre le province del Salento (Lecce, Brindisi e Taranto), nonostante le loro rispettive dimensioni, potrebbero arrivare ad unirsi (anche solo in una unione di province), in quanto la visione strategica di quel territorio le coinvolge tutte. Spero di avere chiarito, così, che la norma-manifesto del decreto 138 genera problemi, piuttosto che risolverli.
Rischia di finire al vaglio della Corte Costituzionale?
Molte norme del decreto 138 presentano ombre di costituzionalità , compreso l’articolo 15 sulle province. Il guaio è che si tratta di norme di carattere straordinario, previste da un decreto che serve a far fronte a una situazione di emergenza dei mercati. E potrebbe persino andare a finire che la Corte, anziché essere ligia al rispetto della Costituzione, possa consolidarle attraverso la nefasta categoria della “costituzionalità provvisoria”, adoperata già in altre occasioni di emergenza. E questo determinerebbe un aggravamento della situazione nella quale siamo ormai da dieci anni. Su questi temi bisognerebbe agire con il buon senso. Ma il buon senso è scappato da questo paese e la sua classe politica non sembra in grado di ritrovarlo.
Il buon senso cosa suggerirebbe?
Il problema del dimensionamento degli enti locali è reale, tant’è che è affrontato dal Codice delle Autonomie Locali rimasto pendente al Senato dopo la prima approvazione della Camera. Il codice, diversamente dal decreto 138, prevede un sistema organico e completamente diverso: accorpamenti e insieme semplificazione ordinata delle funzioni degli enti locali. Infatti, è inutile agire sulle dimensioni degli enti, se poi le funzioni amministrative continuano ad essere intestate a due soggetti (ad esempio, stato e regioni). Se il problema della manovra è il costo delle funzioni, in questa situazione le funzioni finiscono o, peggio, continuano a costare il doppio.
Quindi non c’è risparmio?
Non c’è vero risparmio perché non c’è vera cura dimagrante. Dovrebbe essere soppressa la schiera degli enti regionali e statali che servono solo a alimentare clientele. Il cittadino dovrebbe sapere che per l’acqua è responsabile un ente, per il trasporto un altro. Oggi neanche per gli asili nido le competenze sono chiare: comune, regione e stato intervengono contemporaneamente. Abbiamo fatto il federalismo? Ma non siamo federalisti, ognuno si vuole tenere le competenze. Nel federalismo si distribuiscono i ruoli. Da noi invece tutti vogliono fare tutto perché nessun vuole rinunciare a un po’ di potere e questo comportamento non è economicamente conveniente. Per non parlare della questione democratica.
La norma della manovra riduce la democrazia?
Lo Stato non può permettersi di fare un’altra legge che continua ad incidere sulla democrazia locale, riducendo il numero dei consiglieri comunali, provinciali e ora anche regionali, lasciando sopravvivere un parlamento con mille persone profumatamente pagate, che non servono proprio a niente in questo momento storico. Io lavoro all’università , che sta morendo per definanziamento, e mi sono fatto qualche conto: se si dimezzasse il numero dei parlamentari potremmo rilanciare l’università e bandire tremila cattedre per i giovani ricercatori, anziché fare il pianto del coccodrillo sulla fuga dei cervelli all’estero.
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