Ma esiste davvero la lettera di Bce?

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Al di là  della complessa articolazione del decreto e delle pesanti ricadute sociali – immediate e differite – che esso produrrà , quelle che seguono intendono essere brevi considerazioni critiche sulla genesi di un provvedimento senza precedenti.
La manovra con ogni evidenza era preparata nei dettagli già  da molti mesi, ma si è approfittato del generale Agosto per pianificare il blitz politico-istituzionale. Il vero capolavoro è stato rappresentato dalla concomitante (ed artefatta) turbolenza dei mercati borsistici internazionali. Sull’onda di un panico mediatico abilmente cavalcato, è intervenuta come un deus-ex-machina la fantomatica lettera confidenziale della Banca centrale europea che chiedeva pesanti tagli ai conti pubblici italiani.
Ora, se tale missiva fosse stata davvero confidenziale non sarebbe dovuta neanche essere menzionata. Il fatto, invece, che sia stata ripetutamente richiamata dagli esponenti governativi a giustificazione della durezza ed impopolarità  della manovra-bis alimenta un sospetto: che la lettera della Bce, in realtà , non sia mai esistita, o, meglio, che sia esistita solo idealmente negli accordi segreti e rigorosamente verbali tra le gerarchie monetarie di Francoforte e il governo italiano.
La Bce, in sostanza, sottoscrive massicce emissioni di Btp italiani, ne sostiene il prezzo, abbassa i tassi e lo spread con i bund tedeschi ed incassa congrue cedole. In cambio, Eurotower offre un formidabile scudo per così dire politico-burocratico dietro al quale il governo italiano può comodamente ripararsi senza dover rispondere in termini di consenso elettorale di scelte socio-politiche ed economico-finanziarie che rasentano la rivolta popolare, facendo ingoiare ai ceti medio-bassi, soprattutto ai lavoratori dipendenti con carichi familiari, condizioni vessatorie. Non un ricatto, dunque, ma una conveniente simbiosi. Una simbiosi rivelatrice, tuttavia, della fine del corretto funzionamento del sistema politico quale motore propulsivo di organizzazione sociale e della definitiva soggezione della politica non tanto alle leggi dell’economia, quanto ai diktat della tecno-burocrazia.
La medesima deriva del rapporto responsabilità -consenso, evidenziata dalla vicenda della manovra e della lettera fantasma, sembra aver coinvolto anche il mondo sindacale. Non da oggi, infatti, molte sigle si sono mostrate particolarmente inclini ad appropriarsi della tesi della controparte.
Nel decreto, i principi che per carattere duraturo e valenza ideologica preoccupano maggiormente sono rappresentati dal recepimento del «metodo Marchionne», che ratifica gli accordi illegittimi di Pomigliano e Mirafiori e dall’adozione dell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, che all’art. 7 permette il concreto aggiramento all’interno degli accordi aziendali non solo delle norme dei contratti nazionali, ma perfino delle tutele dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, sovvertendo la gerarchia delle fonti normative.
Al proposito, non si può non rilevare l’imbarazzante posizione della Cgil che, sull’onda dell’allarme socio-giuridico, ora invoca giustamente lo sciopero generale, ma la cui attitudine di oca del Campidoglio mal si concilia con la firma apposta in calce al citato accordo di giugno – ove si uniformò alla rincorsa al ribasso dei diritti del mondo del lavoro con l’alibi, anche in questo caso, dalla crisi – e con il suo sostanziale avallo ad una controrivoluzione copernicana che rischia (anzi sta già  dimostrando) di cancellare decenni di conquiste sociali.


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