Il ciclone Michele Bachmann travolge la corsa repubblicana

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AMES (Iowa) — «Marcus, dammi un dollaro che Obama, tra una tassa e l’altra, mi ha lasciato senza un soldo». Il marito-comparsa (quello al quale si è dichiarata «biblicamente» sottomessa, sollevando il dubbio su chi comanderà  alla Casa Bianca qualora lei dovesse eletta presidente), le porge una banconota. Michele Bachmann la piega quasi a metà  e spiega al suo uditorio — una quarantina di persone sedute in semicerchio in un parcheggio di Indianola, un paesino nel sud dell’Iowa — che uno Stato che prende in prestito il 43 per cento di quello che spende porta l’America dritta verso il fallimento: «Cosa succederebbe a casa vostra in una situazione simile?»
Poi la promessa di detronizzare il presidente spendaccione, una raffica di slogan accattivanti, sorrisi e abbracci per tutti. Infine autografi senza fine, anche per la «troupe» giapponese che la segue di villaggio in villaggio nella calura agostana del Mid-West tentando (senza successo) d’intervistarla. La Bachmann — che l’altra sera ha vinto lo «straw poll» dell’Iowa, la prova generale del «caucus» che tra sei mesi aprirà  la stagione delle primarie repubblicane — difficilmente otterrà  la nomination per sfidare Barack Obama il 6 novembre del prossimo anno: l’eroina dei Tea Party scalda il cuore di molti conservatori, ma il centro moderato è presidiato da Mitt Romney, che ha anche l’appoggio dell’«establishment» economico e della macchina del partito. E ora è sceso in campo un «pezzo da 90» come il governatore del Texas, Rick Perry.
Ma adesso è lei, la «pasionaria del Minnesota», il personaggio sulla cresta dell’onda, quella che contende a Sarah Palin il record della popolarità . Minuta, sempre truccatissima, abituata a parlare di getto, col cuore, anche a costo di rischiare qualche gaffe di troppo, mostra di non avere paura di nessuno. Rick Perry, che sabato mattina ha annunciato la sua candidatura alla Casa Bianca in South Carolina e poi ha fatto subito un giro elettorale-lampo in New Hampshire (il secondo Stato a votare per le primarie), ieri è sbarcato proprio in Iowa: a Waterloo, la città  nella quale è nata la Bachmann. Che si è fatta trovare lì, ad accoglierlo con un sorriso: «Siamo amici, sarà  un confronto leale». Una sicurezza che le deriva non dalla convinzione che uscirà  vincitrice da questa battaglia, ma dalla consapevolezza di cavalcare idee radicali sulla spesa pubblica e sui temi religiosi: le idee della destra integralista evangelica e dei Tea Party che sono certamente minoritarie e spesso basate su pericolose forzature ideologiche, ma che nessuno, tra i politici conservatori, oggi osa sfidare apertamente.
Nel primo dibattito televisivo tra i candidati repubblicani, alcune settimane fa, era stata lei a stravincere esponendo tesi discutibili, facendo affermazioni a volte imprecise, buttando lì anche qualche falsità . Ma rendendo, poi, tutto credibile agli occhi del suo pubblico con un linguaggio immediato, sincero, col suo entusiasmo travolgente.
Al secondo dibattito, l’altra sera qui in Iowa, gli avversari l’hanno attesa al varco. Soprattutto Tim Pawlenty, suo concorrente diretto in quanto ex governatore del Minnesota, e Rick Santorum. Pawlenty l’ha accusata di parlare molto, senza aver, però, mai combinato nulla di concreto nella sua attività  parlamentare. E di costruire i suoi discorsi su argomenti inesatti o addirittura non veri. Santorum le ha rinfacciato di aver giocato col fuoco: di aver «flirtato» con l’insolvenza dell’America, quando si è opposta a un «atto dovuto» come l’aumento del tetto del debito federale.
Nella sostanza avevano ragione i suoi due accusatori, ma lei ha ribattuto colpo su colpo. Fino al punto di trasformare la rigidità  ideologica in una virtù: «Io al Congresso le mie idee le difendo fino in fondo, senza compromessi. E’ questa la garanzia che offro ai miei elettori. Voi no, cercate sempre accordi sottobanco». Per ora l’ha spuntata lei: alla fiera agricola di Des Moines, dove ha vinto il sondaggio «ruspante» organizzato da una tv locale che ha dato un chicco di granturco a ogni visitatore, chiamato a metterlo nel vaso di vetro del candidato preferito. Ma ha vinto, soprattutto, nello «straw poll». Una simulazione del caucus che verrà . Una consultazione con regole approssimative che non ha valore legale, ma dà  un’idea della forza organizzativa dei candidati.
Dopo la «State Fair» di Des Moines, la grande kermesse del Mid-West — un milione di visitatori in cinque giorni che si aggirano tra mucche da record e trattori d’epoca, studiando l’ultimo modello di mungitrice e ascoltando i leader repubblicani che si alternano su un podio fatto di balle di fieno — il circo della politica conservatrice si è trasferito, infatti, 40 miglia più a nord, nel campus dell’università  di Ames. E’ qui che i candidati alla nomination repubblicana si sono dati battaglia (non tutti: Romney, Gingrich e Huntsman hanno preferito non presentare una loro candidatura formale) per conquistare il voto dei 17 mila cittadini che si sono prestati a questo test. L’ha spuntata Michele con poco meno di 5000 voti, appena 150 in più di un sorprendente Ron Paul. Pawlenty, terzo, ha preso meno della metà  dei voti della Bachmann. Santorum, finito nelle retrovie, difficilmente avrà  un destino migliore, anche se quello di ieri è stato solo un assaggio di una corsa che sarà  molto lunga e accidentata.
Gli analisti prevedono una lotta lunga e incerta, come non si vede da decenni in campo repubblicano, dominato nell’ultimo trentennio dal regno di Reagan e dei due Bush. Anche nel 2008 l’incertezza durò poco: McCain andò in testa quasi subito.
Stavolta, con Romney che dovrebbe conquistare New Hampshire e Nevada, Perry forte in South Carlina, e la Bachmann che ha «prenotato» l’Iowa, si delinea una corsa a tre. Sempre che alla fine non arrivi anche Sarah Palin: allo «straw poll» non si è presentata, ma alla fiera agricola c’era, eccome. Ed è stato un vero bagno di folla.


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