La battaglia di Hazare “Il nostro nuovo Gandhi”
C’è voluto un settantatreenne con una determinazione di granito nascosta in un corpo minuto, tanto povero da aver abbandonato la scuola da bimbo per diventare fioraio, poi autista nell’esercito, infine attivista non-violento, a scuotere la diffusa apatia civica di un popolo da 1,2 miliardi di persone e creare uno dei più vasti movimenti dai tempi dell’Indipendenza dell’India. E, anche se ora l’obiettivo è la lotta alla corruzione, l’arma che sta facendo tremare i potenti resta quella favorita all’epoca dal Mahatma per mandare a casa i colonialisti britannici: lo sciopero della fame. Sarà quindi per queste e altre similitudini, come quella di vestirsi in abiti di cotone bianco, che Anna Hazare ancor prima di potere dichiarare vinta la sua battaglia è diventato un eroe civile tale da essere stato soprannominato dai suoi seguaci «il nuovo Gandhi».
Certo, pur sempre un Gandhi dei nostri tempi. Che appare nei talk-show, è acclamato dalle star di Bollywood, possiede account su Facebook e Twitter, e che proprio grazie al tam tam di tv e Internet ha creato una mobilitazione senza precedenti contro l’annosa piaga delle mazzette. Non che non abbiano mai provato a risolverla, la piaga. Gli sforzi del Parlamento per dar vita a un’agenzia indipendente anti-corruzione risalgono al 1968. Peccato che tuttora non esista. E per capire il perché basta, per esempio, guardare al pedigree degli attuali parlamentari: quasi un terzo è incriminato. Anche se, poi, esperti della tangente sono ovunque, nel sistema politico e nella burocrazia. Cosicché si pagano balzelli illegali persino per ottenere l’ammissione di un figlio a scuola, un documento d’identità o la tessera del razionamento alimentare per i poveri. Una vessazione così diffusa che la classifica di Transparency sui Paesi più corrotti al mondo regala all’India l’87esimo posto (venti dietro all’Italia, per intenderci). E la situazione non ha fatto che aggravarsi con i recenti scandali di corruzione multi-miliardari che hanno coinvolto il governo: da quello dei Giochi del Commonwealth a quello della vendita delle licenze nella telefonia mobile.
Sono stati proprio questi scandali a dare una scossa all’indignazione della tribù degli onesti. Mamme e studenti, impiegati delle multinazionali di informatica, avvocati e altri membri di quella vasta classe media, solitamente molto più impegnata ad afferrare i frutti dello sviluppo che dall’impegno civico, hanno iniziato a farsi sentire. Prima con iniziative come il sito “I paid a bribe” (ho pagato una mazzetta): in cui si invitano le persone a denunciare un tentativo, riuscito o meno, di corruzione. Poi, con la mobilitazione di piazza, di cui Harare era destinato a essere il leader naturale. Attivista di lungo corso di formazione gandhiana, famoso per aver trasformato un villaggio del suo Stato, il Maharashtra, in una comunità ecosostenibile modello, nel suo curriculum vanta una ventina di anni dedicati a lottare contro casi di corruzione locali. Finché ad aprile ha portato la sua crociata a Nuova Delhi e iniziato il suo primo sciopero della fame per chiedere la creazione del “Lockpal”, sorta di super-garante indipendente che vigili e giudichi sulla corruzione. La protesta s’è conclusa dopo 100 ore con la clamorosa capitolazione del governo, che ha acconsentito alla creazione di una commissione che redigesse la legge. Solo che, quando qualche settimana fa il testo è stato reso pubblico, non è affatto piaciuto ad Hazare e al suo popolo. «È una barzelletta», hanno scandito ai cortei mentre incendiavano copie del testo, giudicato troppo debole rispetto ai poteri previsti per l’authority.
Così ecco che per domani il loro Gandhi ha annunciato l’inizio di un secondo sciopero della fame: nella speranza di ottenere un rafforzamento dei poteri del garante. E chissà se il governo cederà una seconda volta di fronte a quella che chiama «democrazia attraverso il ricatto». Di certo non vuole sulla coscienza la salute di un settantenne, leader del Movement Against Corruption, che ufficialmente conta 12 milioni di aderenti. Di certo lo teme al punto che le autorità hanno detto che la protesta non potrà durare oltre tre giorni. Una restrizione pesante che Hazare non ha mancato di contestare scrivendo al premier Manmohan Singh, accusandolo di «uccidere la democrazia». E non è stato l’unico a sollecitare il governo a non «soffocare i diritti fondamentali della gente». Invito simile, ma ben più irritante per Nuova Delhi, è arrivato addirittura da Washington. Che evidentemente teme il ripetersi del pugno duro usato per porre fine allo sciopero della fame contro la corruzione organizzato a giugno dal famoso guru Baba Ramdev. Una repressione che il popolo anti-mazzette non sopporterebbe per una seconda volta. E che certo non renderebbe onore a quella che viene spesso chiamata «la più grande democrazia al mondo».
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