La lira nel ’92, il rublo, Lehman agosto il mese caldo della Finanza
MILANO – Niente ombrellone, zero sdraio e pattino off-limits. Agosto, da che mondo è mondo, non è un mese di vacanza per chi si occupa di finanza. Gli uffici chiudono, la città si svuota, le saracinesche si abbassano. Ma il grande circo del denaro non va in ferie. Anzi. Spesso negli ultimi decenni ha approfittato dei giorni più caldi dell’anno per regalare al mondo – che a dire il vero non ne sentiva il bisogno – i suoi fuochi d’artificio più spettacolari.
A lanciare la moda dei blitz di mezza estate è stato nel 1971 Richard Nixon. Il giorno di Ferragosto, l’ex presidente Usa si è presentato in tv in collegamento da Camp David e con un discorso secco secco (18 minuti) ha cancellato gli accordi di Bretton Woods, il sistema di cambi a parità fisse che dal dopoguerra aveva retto a meraviglia gli equilibri valutari della terra.
Il suo messaggio compie quarant’anni lunedì prossimo ma potrebbe essere stato scritto ieri: «Chi guadagna dalle turbolenze finanziarie di questi mesi? Non il lavoratore americano, non l’economia reale. Chi fa soldi sono gli speculatori internazionali che creano queste crisi», ha proclamato dallo schermo. Poi via con la “manovrona” d’agosto. Mentre gli americani invadevano Disneyland e la New York che conta si era già trasferita in bermuda agli Hamptons, Nixon ha eliminato dalla sera alla mattina la convertibilità del dollaro in oro, una mossa i cui effetti collaterali si sentono ancor oggi.
L’agosto più difficile per l’economia italiana è stato invece quello del ’92, il mese nero della lira. La crisi, in quella torrida estate, è partita a luglio quando la speculazione ha iniziato a punzecchiare la nostra vecchia (e fragile) valuta. Il Governo Amato ha varato nella notte tra il 9 e il 10 di quel mese la patrimoniale su case e conti correnti, la Banca d’Italia ha alzato due volte i tassi di sconto portandoli al 13,75%. Ma non è bastato. A inizio agosto, appena gli italiani si sono messi in autostrada per il mare e gli scambi valutari si sono rarefatti, è partito l’assalto finale.
Via Nazionale ha provato a resistere spendendo 30mila miliardi in un mese di fuoco. La moneta tricolore ha stoicamente resistito abbarbicata a quota 760 contro il marco. Tutto inutile. A inizio settembre Amato e la banca centrale hanno alzato bandiera bianca abbandonando la lira al suo destino e spingendola in poche settimane a 933 sulla valuta tedesca, svalutandola in sostanza del 22%.
Enrico Cuccia, il grande vecchio della finanza tricolore, forse sarebbe riuscito a difendersi meglio. Lui sui blitz d’agosto ha costruito una fortuna. Aspettava che il Ghota di Piazza Affari emigrasse a Portofino e a Cortina nei giorni di bollino nero. Poi nel deserto meneghino piazzava la zampata da via Filodrammatici. Quasi sempre sulla Montedison e sempre con successo tant’è vero che per cinque volte dell’arco di trent’anni (dal ’65 al ’97) è riuscito a far cambiare padrone alla chimica del nostro paese proprio nel mese consacrato alla vacanza dal resto degli italiani.
Altri tempi. Il mondo è cambiato. Il capitalismo ha allargato i suoi confini. Così nell’agosto del ’98 è toccato alla Russia, appena sbarcata nel magico mondo del libero mercato, esordire sul palcoscenico delle crisi finanziarie estive. Il cocktail esplosivo è stato sempre lo stesso: mercato del lavoro rigido, rublo agganciato a un cambio artificiale e un governo poco credibile. Un invito a nozze per la speculazione che a inizio estate ha preso a martellare l’ex impero sovietico facendo tremare (tanto per cambiare) tutti i listini internazionali.
Boris Eltsin, un po’ a digiuno dei riti della grande finanza mondiale, ha deciso di andare sul sicuro. E memore dell’autorevole intervento di Nixon del 1971, è apparso in tv per tranquillizzare i suoi concittadini proprio il giorno di ferragosto. «Escludo fermamente qualsiasi svalutazione del rublo», ha annunciato. Infatti: tre giorni dopo la banca centrale ha allargato la banda d’oscillazione, svalutando del 25% la moneta russa e dichiarando default sul debito estero.
L’ultimo agosto rovente della finanza mondiale prima dell’estate calda dei debiti sovrani è quello del 2007. La miccia in questo caso sono stati i famigerati subprime. La crisi covava sotto la cenere sin dalla primavera, quando gli americani hanno iniziato a non onorare le rate dei debiti-spazzatura. Il corto circuito però è arrivato come tradizione sotto l’ombrellone. A inizio agosto il mercato interbancario si è fermato. Nessuno si fidava più di nessuno e le banche, temendo di rimanere con il cerino in mano, hanno smesso di prestarsi soldi tra di loro. Verso il 7-8 del mese le Borse hanno iniziato a tremare e il 10 agosto la Bce e la Fed – con un intervento che non ha precedenti nella storia dell’economia mondiale – hanno inondato il mercato di 400 miliardi di liquidità per evitare il crac dell’economia globale.
La toppa, come sappiamo, non è stata sufficiente. Qualche settimana dopo, con il crac della Lehman, è iniziato quel periodo nero per la finanza che in fondo ci ha traghettato fino a quest’estate da brividi. Passerà anche questa tempesta. Arriverà settembre e tutti (speriamo) tireremo un sospiro di sollievo. A quel punto in fondo all’agosto successivo mancheranno ancora undici mesi…
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