“Mi chiamo Breivik, sto sparando” le telefonate che la polizia ignorò

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«Pronto, sono il Comandante, Anders Breivik. Mi vorrei costituire». Dall’altro capo del telefono, la polizia. Che però ignora la telefonata. Non una sola volta: due, forse dieci. Se fosse davvero andata così come ora racconta il legale del macellaio di Utoya, la polizia norvegese è davvero nei guai. Perché se c’è un interrogativo che sta tormentando la Norvegia è se un intervento più efficiente avrebbe potuto risparmiare qualche vita. Se lo chiedono i mass-media, i parenti delle 77 vittime delle stragi di Oslo e Utoya. E, soprattutto, è il dubbio che perseguita il governo di centrosinistra e le forze dell’ordine, mentre giorno dopo giorno emergono dettagli che rendono rovente la polemica sull’efficienza delle autorità  nel massacro del 22 luglio.
L’ultimo arriva da un’intervista dell’Aftenposten al difensore di Breivik, Gier Lippestad. Il quale racconta come l’estremista che voleva difendere la sua patria dal «multiculturalismo marxista», dopo aver fatto esplodere una bomba nella capitale, abbia telefonato alla polizia 10 volte mentre imbracciando un fucile, una pistola Glock e una mitraglietta trasformava il campo estivo dei giovani laburisti sull’isola in una mattanza. Voleva «arrendersi», spiega l’avvocato. Peccato che sarebbe riuscito ad entrare in contatto con gli agenti solo due volte. Due telefonate in cui avrebbe ricevuto «delle risposte che non capiva» e «chiesto di essere richiamato per accertarsi che avessero compreso la sua volontà  di arrendersi». Nell’attesa della telefonata Breivik avrebbe sospeso la sparatoria. Una pausa in cui si è «chiesto se suicidarsi o continuare l’operazione» che lo avrebbe reso «il mostro più grande dalla seconda guerra mondiale», come scrisse nel suo delirante manifesto. Un’interruzione degli spari c’è stata, confermano ora dei sopravvissuti. E la polizia ha ammesso di avere una registrazione che potrebbe essere di Breivik. Solo che la loro telefonata non è mai arrivata: e lui decise di «sparare fino al loro arrivo».
Proprio sulla tempestività  dell’intervento si concentra un’altra rivelazione. Della tv pubblica Nrk: le forze speciali arrivarono a oltre un’ora dall’allarme, perché s’imbarcarono su un molo distante quattro chilometri dall’isola, invece che da quello a 670 metri. Una svista madornale o un problema tecnico (la polizia ha spiegato che dal molo più vicino non era possibile imbarcare le forze speciali). Errori come l’arresto di un sopravvissuto sospettato di essere un complice, nella disperazione dei genitori che lo davano per morto. Sarà  stato quindi anche per sedare le polemiche sulla polizia che ieri, presentando la commissione di valutazione sulla strage, il premier laburista Stoltenberg ha detto: «Dobbiamo trarre insegnamenti dagli attacchi».


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