Marcegaglia si oppone alla patrimoniale Camusso non esclude lo sciopero generale
Davanti al vuoto spinto del governo il fronte delle parti sociali brancola nel buio. Al termine dell’incontro a palazzo Chigi l’imbarazzo è evidente. Parla per tutti Emma Marcegaglia ma c’è poco da dire. «Tutti noi abbiamo sottolineato la necessità dell’urgenza perché il Paese ha bisogno di risposte». E a chi le domanda se il 18 agosto non sia troppo tardi, Marcegaglia risponde laconica: «Chiedete al governo».
Susanna Camusso non è intervenuta alla conferenza stampa ufficiale ma la sua impressione sulla riunione con l’esecutivo è lapidaria: «L’incontro non è stato all’altezza dei problemi che abbiamo e della trasparenza che sarebbe necessaria. Ci aspettavamo che ci dicessero cosa intendono fare. La volta scorsa ci hanno consegnato il libretto delle cose fatte, questa volta ci aspettavamo la lettera della Bce per sapere in che campo giochiamo». E invece l’esecutivo non ha detto nulla.
E allora, in attesa che il governo batta un colpo, le parti sociali cercano di fare da sole. In mattinata Confindustria e sindacati si erano incontrati in previsione del vertice del pomeriggio per decidere una linea il più possibile comune. La parola d’ordine che per ora tiene ancora tutti insieme (e che permetterebbe anche alla Cgil di Susanna Camusso di restare attaccata al treno unitario) è autonomia. Le parti sociali non hanno nessuna intenzione di farsi dettare dal governo nuove regole sul mercato del lavoro, magari per decreto. «Siamo uniti nell’esigenza di fare presto – ha dichiarato il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni – ma per quanto riguarda la partita sul mercato del lavoro le parti sociali troveranno l’accordo da sole, non vogliamo diktat da nessuno». Una posizione rilanciata dalla stessa Marcegaglia e ribadita anche da Camusso.
Su tutto il resto però l’unione della parti sociali appare sempre più improponibile. Quanto più la crisi si fa drammatica e bisogna arrivare a scelte concrete, tanto più le divisioni tra gli industriali e i tre sindacati si fanno evidenti. Al di là degli appelli all’urgenza ognuno propone strade opposte. La parola chiave su cui il fronte si spacca è equità . «Credo che in questo momento sia giusto che chi ha di più dia di più», ammette Emma Marcegaglia, ma poi si affretta ad escludere la patrimoniale, punta sulla lotta all’evasione e rilancia il mantra dei tagli della spesa pubblica, delle liberalizzazioni e delle privattizzazioni (su quest’ultimo punto la Cgil ha già dovuto prendere le distanze).
Raffaele Bonanni invece è il primo a dire che non bisogna toccare le pensioni: «I soldi vanno presi altrove, non dai soliti noti». Avanti con i tagli alla politica, alla patrimoniale purché non sulla prima casa, e alla liberalizzazione delle municipalizzate – «ultimo scorcio di Unione Sovietica in Italia» – ma «non si azzardino a toccare Finmeccanica, Eni, Enel e Poste».
In questa situazione Susanna Camusso fa sempre più fatica a tenere il piede in due scarpe, con i lavoratori ma anche con Confindustria. E a fine giornata arriva addirittura ad evocare la possibilità dello sciopero generale facendo venire i capelli dritti a Bonanni. «Va garantita coesione sociale – ha detto Camusso – non bisogna toccare pensioni, redditi da lavoro dipendente, sanità e assistenza. Si deve invece chiedere di più a chi non ha dato con tassazioni sui grandi patrimoni, sull’evasione e sui costi della politica. Se lo schema della manovra colpirà i soliti noti proseguiremo la mobilitazione per cambiare la manovra senza escludere lo sciopero generale». Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo l’agitatissimo mare di questo disastroso agosto.
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