Vino e turismo, i danni della Tav
CHIOMONTE (VAL DI SUSA). Danni gravi ai vitigni del doc Valsusa, al parco archeologico della Maddalena, ai privati, alle coltivazioni della lavanda e del castagno e viabilità interrotta con l’abitato di Giaglione. Sono la pesante eredità del fortino militare di Chiomonte e dell’avvio del cantiere del tunnel geognostico, ancora in standby. «Chiederemo un risarcimento al governo e alla società Ltf (Lyon Turin Ferroviaire)» ha annunciato il presidente della comunità montana Valli di Susa e Sangone, Sandro Plano, ieri pomeriggio al termine di un’insolita riunione della giunta della comunità montana svolta proprio all’interno della “zona rossa”, l’area recintata. Arrivati nel pomeriggio al cancello-checkpoint sulla strada dell’Avanà , i consiglieri sono saliti fino in cima, scortati dalla polizia. È stato vietato l’ingresso a giornalisti e manifestanti, che non hanno potuto assistere alla seduta.
Una visita importante quella di Plano, che dopo due ore di riunione all’azienda agricola Clarea, proprietà della comunità ma in gestione a una cooperativa di viticoltori, ha sintetizzato le problematicità . «È un duro colpo per il progetto vitivinicolo Doc Valsusa, che volevamo ampliare». Il parco archeologico, devastato dalle ruspe, «è stato limitato nella fruibilità e nello sviluppo». Disagi, poi, a un bed&breakfast e alla cooperativa agricola Clarea, che comprende quaranta produttori di vino. I danni non sono ancora stati quantificati, ma sono alti se si bada solo al giro d’affari annuo delle vigne, pari a 250 mila euro. Per non parlare delle perdite nel settore turistico. «Se si parlava di sviluppo della Val di Susa con la Tav – ha concluso Plano – si è partiti male».
Ieri sono invece emerse novità sul fallimento della ditta Italcoge di Susa, la ditta che stava eseguendo i lavori di recinzione del cantiere della Maddalena. Non è colpa dei No Tav come vorrebbe l’avvocato della famiglia Lazzaro, ma di un debito erariale compreso tra i 4 e i 5 milioni di euro e il mancato pagamento di rate a Equitalia per saldarlo. Questi i motivi della sentenza di fallimento della ditta Italcoge, pronunciata dal giudice Bruno Conca la scorsa settimana. Il tentativo di inglobare la Italcoge in una società immobiliare della famiglia Lazzaro è stato respinto, perché la prima aveva un capitale sociale di un milione di euro mentre la seconda di solo 20 mila euro: «Non avrebbe sottratto – si legge nel documento – né la Italcoge né il subentrante all’attuale stato di insolvenza». Per il giudice «l’incapacità di adempiere regolarmente ai debiti scaduti emerge dallo stesso naufragio delle trattative che avrebbero dovuto condurre alla stipula di un accordo di ristrutturazione». Alberto Perino attacca: «Crediamo che qualcuno dovrà rispondere di queste gravi inadempienze. Anche l’onorevole Stefano Esposito chieda scusa visto che aveva detto che era uno scandalo fare fallire la Italcoge per appena 6 mila euro». Il parlamentare del Pd se la prende con Plano, suo compagno di partito: «Dovere del presidente sarebbe di occuparsi anche dei 70 lavoratori della Italcoge rimasti disoccupati e del tracollo del turismo, ma si occupa solo di argomenti che interessano ai No Tav».
Intanto la mobilitazione prosegue e pure il digiuno di Stefano, Nicola e Turi Vaccaro, l’attivista rimasto per alcuni giorni su un albero senza cibo né acqua. Quel pino, da cui era sceso solo dopo l’arrivo di don Luigi Ciotti (che aveva esplicitamente richiesto), è stato inspiegabilmente abbattuto. Probabilmente è stato falciato senza pietà solo per evitare gesti emulativi da parte di qualche altro no Tav.
Nella mattina di ieri si è svolto un presidio di protesta contro la Martina, società nominata al posto della fallita Italcoge per i lavori del cantiere, e nel pomeriggio è proseguito il ciclo filosofico resistente con una nuova lezione di Gigi Richetto su Giordano Bruno: «Anche lui, come Erasmo da Rotterdam, era passato dalla Valsusa e probabilmente ha lasciato i germi della sua inquietudine in questa valle ribelle».
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