«Massacro sociale» concordato con i «complici» Solo domani toccherà  anche alla Cgil

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 Ce lo ordina l’Europa, dirà  domani Tremonti snocciolando tagli al welfare e alle pensioni pubbliche e private, disegnando nuove relazioni sindacali ancora più penalizzanti per chi lavora, modifiche alla Costituzione e allo Statuto dei lavoratori, privatizzazioni e liberalizzazioni a go-go. Lo dirà  alla carovana dei suoi interlocutori, uniti (quasi solo) dal nome con cui vengono identificati: «parti sociali». Parlerà  ai vertici confindustriali, ai banchieri, ai cooperatori, agli artigiani, agli imprendotori agricoli e, naturalmente, alle confederazioni sindacali. Per ora si è limitato a spedire loro una letterina ma già  oggi incontrerà  i più «fidati», Marcegaglia, Bonanni e Angeletti a Villa Madama (una residenza del Tesoro), cioè la Confindustria e quei sindacati che il ministro d’assalto Sacconi chiama ora «sindacati complici», ora «sindacati riformisti».Fosse per Sacconi, la Cgil verrebbe tenuta decisamente fuori dalla porta, non solo oggi ma anche domani, ma questo atteggiamento non aiuterebbe certo Emma Marcegaglia che ha fatto di tutto per riportare Susanna Camusso ai tavoli che contano. Sarebbe un peccato per la presidente di Confindustria perdere la firma della segretaria della Cgil, convinta non senza qualche fatica a siglare prima l’accordo sulla riforma del sistema contrattuale, che non ha entusiasmato il suo sindacato, e poi il documento «unitario» presentato (proprio dalla Marcegaglia) al governo con i diktat delle parti sociali, che ha lasciato sgomente la base e buona parte del vertice della Cgil. Se è vero che bisognerà  far pagare i costi della crisi a lavoratori, pensionati e giovani privi di ogni forma di rappresentanza, è fondamentale che la Cgil venga coinvolta, fino a farla diventare il terzo sindacato riformista, o complice che dir si voglia. Questa soluzione sarebbe ideale, una ciambella perfetta. Ma non tutte le ciambelle escono dal forno dei pasticceri con il buco.

Un obiettivo più facile da declamare che da realizzare, l’ingabbiamento della Cgil dentro una manovra classista destinata a provocare un massacro sociale. Una volta ribadito, come ha fatto Camusso, che il governo italiano è commissariato dall’Europa e dalla Bce (e perché, la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda?), la Cgil dovrà  pure pronunciarsi sui pesanti aggravi a una manovra già  ingiusta che domani saranno annunciati (e oggi anticipati ai soli compagni di merenda) dal ministro Tremonti. Difficilmente Camusso, ammesso che accetti di fare l’ospite poco gradita in seconda convocazione, potrà  alzare più di tanto la voce contro la decisione di «costituzionalizzare» il pareggio di bilancio, proposta contenuta nel primo dei sei punti della parti sociali. In quel documento c’era anche un inno alle privatizzazioni, contro cui pure Susanna Camusso si è dichiarata contraria («l’unico punto di disaccordo»). E se è vero che su spinta della Confindustria, almeno della sua parte più intransigente, il governo annuncerà  l’intenzione di assumere in decreto legge il modello contrattuale aziendale di Marchionne in deroga al contratto nazionale di lavoro, come risponderà  la Cgil? Va bene che Susanna Camusso non è Maurizio Landini, ma forse c’è un limite a tutto. Ieri da Corso d’Italia è arrivata una nota della segretaria confederale Vera Lamonica, che in relazione alla minacciata scure sulle pensioni ha definito quella del governo «una manovra nata iniqua e che diventa ancora più cruda adottando misure che produrranno ingiustizie e diseguaglianze da respingere. Anziché colpire ancora una volta pensioni e assistenza (innalzamento dell’età  pensionabile delle donne nel privato e i tagli indiscriminati a tutto il territorio all’assistenza, dall’indennità  di accompagnamento, alle pensioni di invalidità  e di reversibilità ), si recuperino le risorse necessarie dall’evasione, dalle grandi ricchezze e dalle rendite». Parole chiare, che presupporrebbero l’avvio di grandi iniziative di lotta nel paese, più che l’attesa di convocazione nella sala d’attesa di Palazzo Chigi.
Un altro provvedimento di cui ieri si è parlato riguarda il precariato: gira un’ipotesi tremontiana non molto dissimile da quella sostenuta dall’area «riformista» del Pd, che prevederebbe un purgatorio di tre anni per i nuovi assunti (via l’articolo 18, tanto per fare un esempio) con la garanzia di un contratto a tempo indeterminato. Puzza di americano, di doppio livello salariale e di penalizzazioni certe e subito e stabilizzazioni promesse. Alla Chrysler di Marchionne i nuovi assunti hanno diritti e retribuzioni ben diverse da quelli dei lavoratori più anziani sopravvissuti alla cura del nuovo padrone «italiano». Che risponderà  la Cgil?


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