Un tesoretto di dodici milioni ai Caraibi La rete del «mediatore» del San Raffaele
MILANO — Alla fine si arriva a Curaà§ao. Lì c’è un tesoretto certificato da 12 milioni di euro. Almeno. Il punto di partenza è un personaggio centrale della sanità lombarda. Grande potere sotterraneo ma ufficialmente senza ruoli. Si muove dietro le quinte. Organizza nei migliori ristoranti italiani (Cracco, Sadler e Antica Osteria del Ponte di Cassinetta di Lugagnano) due ambitissime cene all’anno alle quali partecipa il gotha della sanità lombarda con capotavola, si racconta, il governatore Roberto Formigoni.
È italiano ma residente a Londra, i suoi affari transitano da Lugano, i soldi sono nascosti in un labirinto di finanziarie estere. Un po’ imprenditore, un po’ finanziere, molto faccendiere, uomo di relazioni, procacciatore d’affari. Vicinissimo a Comunione e Liberazione, ma non organico. Con lui hanno condiviso (o condividono) affari e società nomi di punta di Cl e della Compagnia delle Opere, assessori ed ex assessori della Regione Lombardia. Cioè quelli che hanno potere e budget miliardari. Si narra delle vacanze in barca con Roberto Formigoni di cui sarebbe ottimo amico. Sua figlia, Erika, sposata con l’assessore regionale alla Cultura Massimo Buscemi, gestisce molte società del padre. L’ex vicepresidente del San Raffaele, Mario Cal era un suo interlocutore fisso. Renato Botti, responsabile dell’area sanitaria dell’ospedale di don Luigi Verzé, amministrava una sua azienda. Si chiama Pierangelo (detto Piero) Daccò, 55 anni, lodigiano residente a Londra. Di Daccò il Corriere si è occupato qualche giorno fa riferendo le confidenze di chi l’ha visto assiduamente all’opera con l’ex tandem di vertice del San Raffaele, Mario Cal e don Verzé. Era — raccontavano le fonti— una sorta di ufficiale di collegamento tra l’ospedale e la Regione Lombardia, grande committente di fatturato sanitario. Ma dalla Regione non risulta abbia incarichi formali. Dunque sta in mezzo. Media. Non gratis, si presume. Ricostruendo dagli anni 90 gli affari di Daccò emerge una fittissima rete di «agganci» . La ragnatela societaria è la traccia da seguire. La Iuvans di Lugano, quella operativa, è un ufficio distaccato della Iuvans International di Rotterdam. A Lugano fino a qualche tempo fa lavorava Rudy Cereghetti, uno che è stato da poco condannato in secondo grado a Cosenza a 6 anni per riciclaggio ed è indagato a Massa Carrara per truffa, bancarotta e associazione a delinquere. Al piano superiore, con la Iuvans olandese, si entra nel cuore del «sistema» Daccò.
Alla fine degli anni 90 l’imprenditore decise di eclissarsi, schermando sotto il cappello della Iuvans di Rotterdam l’omonima di Milano e altre società . Nella Iuvans srl (la più importante) all’inizio sono soci l’Associazione Istra e due ciellini doc come Claudio Cogorno (ex membro del direttivo della Compagnia delle Opere, braccio economico di Cl) e Roberto Sega, primario ospedaliero, dal 2001 membro della Fondazione italiana per la ricerca sul cancro su designazione di Formigoni. Istra è un ente morale di cui Formigoni fu il fondatore.
La Iuvans srl (sede secondaria a Nazareth) promuoveva l’avvio di residenze per anziani. Fece una serie di contratti con la Icos, una cooperativa ciellina (Sega presidente) per la gestione di case di riposo e quando le varie strutture entrarono in servizio (fine anni 90) Iuvans per le consulenze cominciò a incassare un fisso giornaliero a posto letto (da 2.000 a 3.000 lire). Una rendita vitalizia eccezionale. Tra le scritture private più «antiche» (’ 93) una è firmata dall’allora amministratore delegato Iuvans, Renato Botti, diventato direttore generale della Sanità lombarda (1997-2002) e poi responsabile dell’area sanitaria del San Raffaele.
Quando le rendite con Icos entrano a regime (intorno al 2000) la Iuvans si sfila e vende a una società che poi finirà nell’orbita di Paolo Fumagalli e Graziano Tarantini. Ovvero, rispettivamente, l’ex vicepresidente della Cdo nonché presidente di alcune controllate di Intesa Sanpaolo e il vicepresidente della Banca Popolare di Milano, consigliere di A2A e «motore» della Cdo bresciana. Daccò sviluppa, impacchetta, poi gli altri rilevano il business. E i proventi arrivano in Olanda e da qui a Curaà§ao. A un certo punto, nel 2003, Iuvans srl fallisce. Il curatore cede immediatamente l’unica attività (un appalto con i Fatebenefratelli) comprensiva di Audi A8, Jeep Cherokee, Citroen Mehari (un fuoristrada molto spartano) e Citroà«n C3. Curiosamente Jeep e Mehari sono in Sardegna dove la società non ha alcuna attività . Chi compra? La Agens che è sempre di Daccò. Da una parte fallisce, dall’altra compra. Il tutto coperto dall’Olanda.
Attenzione, però, Rotterdam è la patria di un’altra società che si muoveva di concerto con Daccò: la Karmal. Acquisiva partecipazioni di minoranza. E chi gestiva Karmal? Un certo Antonio Zanetti che oltre alle sue amministra anche le holding di Antonio Simone, un signore che ha un jet da 3,5 milioni. Antonio Simone? Non sarà il ciellino ex assessore regionale alla Sanità che abita a Milano in un maxiappartamento a due passi dall’Arco della Pace ottenuto a prezzi low cost dal Trivulzio? In persona. Allora la Karmal che ha affiancato Daccò in tante operazioni «coperte» è sua? Possibile.
La connection è impressionante se solo si pensa che Karmal porta dritti in un’altra azienda dove il controllo è in mano ad Antonio Intiglietta, l’uomo di Cl in Gefi-Gestione Fiere. Daccò è in mezzo. Ma l’Olanda è un passaggio. Alcune carte dimostrano che la Iuvans olandese fa capo alla Silver Age Investments di Curaà§ao, paradiso fiscale nelle Antille olandesi.
La Silver Age ha un plafond da 12 milioni cui attingere. Ma tanti soldi sono arrivati all’isola caraibica partendo da Panama e precisamente dalla holding King Ross. Panama è la tomba della trasparenza. Se Daccò è davvero quel remisier della sanità di cui si favoleggia, è a Curaà§ao e a Panama che si trova il frutto del suo sudato lavoro. Sempreché non sia il prestanome di qualcuno molto più potente.
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