PANICO NELLE BORSE EUROPA E USA A PICCO ITALIA MAGLIA NERA: -5%
Scatta il “panico italiano” e travolge i mercati globali. Ha origine in Italia, colpita da un’ondata di sfiducia che manda in tilt diverse Borse, una giornata di paura che contagia prima l’Europa e poi travolge gli Stati Uniti. Milano chiude col tracollo più grave del mondo a meno 5,16%, si trascina dietro le altre Borse europee con cadute attorno al 3%, fino al botto di Wall Street: -513 punti.
L’America ci aggiunge di suo i nuovi dati negativi sull’occupazione e il timore di una ricaduta in recessione. E’ lo spettro globale dell'”aftershock”, la scossa di assestamento, un fenomeno che ha spesso seguito di qualche anno le grandi crisi della storia: in questo caso il bis del 2008-2009. Al termine della giornata di caos i mercati non credono più neppure nel «soccorso rosso» delle banche centrali. La Bce crea sconcerto quando sembra “abbandonare” l’Italia per acquistare solo titoli di Stato portoghesi e irlandesi.
Fin dal primo mattino s’intuisce che il giovedì nero è la giornata in cui possono venire al pettine tutte le eredità del 2008, la grande crisi che ha scaricato oneri insostenibili sulle finanze pubbliche dell’Occidente. Il terrore che monterà col passare delle ore è che vengano a sovrapporsi il default di un «grosso anello debole» dell’eurozona, l’Italia, con le difficoltà dell’economia reale americana in stallo. Due facce della crisi che si alimentano a vicenda: senza crescita, il risanamento delle finanze pubbliche diventa impossibile. Non a caso l’attacco all’Italia parte per primo, imprime un segno a tutta la giornata: è l’indomani dell’intervento del premier Silvio Berlusconi in Parlamento, che la stampa mondiale e gli analisti esteri hanno giudicato inefficace. All’apertura della Borsa di Milano, giovedì mattina la prima ora è di calma apparente: perché sui mercati circolano anticipazioni che la Bce abbia ripreso a pompare liquidità alle banche, e stia per acquistare titoli pubblici in aiuto agli Stati in difficoltà . La tregua è illusoria, la Borsa di Milano gira in negativo poco prima delle 11. Ripartono all’insù i rendimenti dei Btp, un indice chiaro di sfiducia degli investitori, e schizzano oltre il 6% (4% in più dei Bund tedeschi): si avvicina l’allarme rosso perché gli esperti del Fondo monetario considerano che il 7% d’interesse è la soglia oltre la quale il debito pubblico può avvitarsi su se stesso, diventare insostenibile, fino al default.
Alle 12.52 parte la prima raffica di sospensioni dei titoli italiani per eccesso di ribasso, quando ancora il resto d’Europa appare tranquillo. Poi la Spagna annulla un’asta di titoli pubblici prevista per il 18 agosto, ed è un nuovo segnale di paura. I titoli delle grandi banche italiane segnano punte di caduta del 10% (Intesa Sanpaolo) e 9% (Unicredit). Sono le 14.45 quando il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, inizia la sua conferenza stampa che spegnerà ogni illusione. Il banchiere centrale dell’eurozona chiede che l’Italia anticipi il pareggio di bilancio. La Bce rispolvera misure eccezionali, come i mercati speravano dal primo mattino: aiuti alle banche più deboli, acquisti di titoli pubblici. Arriva però la doccia gelata: sono solo i bond portoghesi e irlandesi, quelli che la Bce sta acquistando, niente Bot né Btp italiani. Per i mercati è una pessima sorpresa. Quando si conclude la conferenza stampa di Trichet l’euro ha perso terreno vistosamente. A quel punto tutte le Borse europee vanno a rimorchio di quella italiana. La ragione: il timore che la debolezza delle banche sia contagiosa. Le maggiori banche italiane, in compagnia delle due spagnole Santander e Bbva, rischiano di diventare delle «appestate», gravate di troppi titoli pubblici che perdono valore. E come accadde nel 2008, le difficoltà bancarie si trasmettono rapidamente a tutto il sistema del credito, traversano le frontiere a gran velocità .
Mentre Trichet accentua la confusione dei mercati europei, l’apertura di Wall Street è preceduta dall’ennesimo segnale di debolezza del mercato del lavoro americano, dopo una lunga catena di indizi premonitori sulla possibile ricaduta in recessione. E la mattina presto di New York si è aperta per molti investitori con la lettura del Wall Street Journal, dove campeggiava in apertura di prima pagina un titolone: «I problemi dell’Italia pesano sull’Europa. Il premier rifiuta nuove misure, l’ansia dilaga su tutto il continente». Altrettanto inquietante l’attacco dell’articolo: «L’intervento di Berlusconi ha accentuato il timore che l’ottava economia mondiale stia scivolando in quelle difficoltà debitorie che hanno già travolto i suoi vicini più piccoli». La piazza più importante della finanza globale apre le sue transazioni all’insegna di un allarme gemello: rischio-default italiano, rischio-recessione americana.
Rapidamente l’indice Dow Jones frana fino a perdere oltre 300 punti e chiuderà la seduta con un tonfo storico di oltre 500 punti. In poco più di una settimana ha perso oltre il 10% e si avvicina a quella che nel gergo tecnico si chiama una «correzione», ma può preludere a eventi più gravi. Quando alle 16.29 italiane va in paralisi totale la Borsa di Milano, e il «giallo» coinvolge Parigi Bruxelles Amsterdam Lisbona, in simultanea a New York il Volatility Index balza del 14% all’insù: è quello che viene chiamato anche «l’indice della paura», segna fluttuazioni isteriche. Alcuni buoni del Tesoro Usa a breve scadenza passano addirittura a un rendimento negativo: è la corsa ad accaparrarsi titoli sicuri che spinge l’interesse sotto zero. Ancora pochi giorni fa erano titoli teoricamente a rischio-default. A sorpresa perde valore l’oro che da anni è il bene-rifugio per eccellenza: ma a venderlo sono speculatori che devono «coprirsi» da pesanti perdite in Borsa. Non c’è speranza dal resto del mondo: ogni area del pianeta in questo momento sembra contribuire al caos. Dal Giappone alla Svizzera le nazioni dalle monete troppo forti si lanciano in tentativi di manipolare il cambio al ribasso, e torna lo spettro di una «guerra delle valute». Le potenze emergenti, dal Brasile alla Cina, danno segni di surriscaldamento ed eccesso d’inflazione. Ma nel giovedì nero di Wall Street la crisi europea ha un ruolo cruciale: i siti Internet dei maggiori quotidiani Usa rivelano che alcune grandi banche italiane e spagnole non riescono più a finanziarsi in dollari; se confermato, sembra il preludio a un’altra paralisi del sistema interbancario come quella che accadde dopo il crac Lehman nel 2008. Da Bruxelles arriva la notizia che la Commissione europea vorrebbe già «ridefinire» il fondo d’emergenza anti – default, e l’America vi legge la conferma di quello che sospetta da tempo: quel fondo non sarebbe in grado di affrontare una bancarotta sovrana di paesi grossi come Spagna e soprattutto Italia. Nelle montagne russe di Wall Street che chiude a fine giornata con il Nasdaq che perde il 5%, perfino le voci di un nuovo «pompaggio di liquidità d’emergenza» da parte della Federal Reserve non bastano a rasserenare. I mercati temono che le banche centrali abbiano esaurito le munizioni. In quanto ai governi, sono prigionieri di debiti insostenibili che dovettero caricare sulle finanze pubbliche per arginare il primo shock, quello di tre anni fa. Se è arrivato l’»aftershock», coincide col momento in cui il rigore imposto a Obama dalla destra, e quello dell’eurozona, imprimono un segno anti-crescita a tutte le politiche economiche. In un contesto già così fragile, la paura del default italiano è stata il segnale che i mercati attendevano per il «si salvi chi può».
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