Anche la bioagricoltura sfama

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Un passo indietro, agli albori della chimica organica e al lavoro di due signori, uno scienziato tedesco, Justus von Liebig, e un imprenditore inglese, John Bennet Lawes. Sono loro i padri dell’agricoltura chimica. Gli studi di Liebig sul ruolo dell’azoto nella fertilità  del suolo furono utilizzati da Lawes che nel 1841 apre la prima fabbrica di fertilizzanti artificiali, brevettandoli e diventando ricchissimo. Ma entrambi, come tutti i pionieri, hanno visto anche i problemi futuri. Liebig mette in guardia sull’eccessiva fiducia nei metodi chimici e raccomanda l’uso del letame, come farà  anche Lawes, sulla base della sperimentazione scientifica che mette in piedi. Il successo lascia nel dimenticatoio le riserve iniziali.
La storia dell’agricoltura organica e del recupero di metodi di coltivazione tradizionali comincia quando i danni si manifestano con evidenza. Albert Howard, botanico dell’Impero britannico, nel 1905 va in India. Lì apprende dai contadini la “legge del ritorno”: per mantenere la fertilità  bisogna restituire alla terra residui vegetali e animali. Crea il composto indore e dai suoi insegnamenti nel 1947 nascerà  in Inghilterra la Soil Association per la coltivazione organica. In Germania nel 1924 Rudolf Steiner dà  i fondamenti della biodinamica sulla base di una visione naturale e spirituale. Mentre l’agricoltura industriale nel dopoguerra si diffonde nel mondo con il piano Marshall e con la “rivoluzione verde” gestita dalla Fao, il giapponese Masanubo Fukuoka sperimenta con successo in Asia e in Africa un’agricoltura zen, con un intervento umano minimo. Claude Aubert in Francia coltiva in modo bio-tradizionale e l’australiano Bill Mollison pratica la permacoltura con grande attenzione a sistemi durevoli. Nel Terzo mondo la battaglia per la riforma agraria diventa anche lotta per un cibo pulito e organico. Ne parlano dal 2004 in Italia, nei giorni di Terra Madre, l’incontro di contadini che arrivano a Torino da tutto il mondo organizzato da Slow Food.
La verità  è che l’agricoltura biologica funziona ed è un’alternativa reale. Nel 1989 la National Research Council che riunisce l’Accademia delle scienze degli Stati Uniti, l’Ordine degli ingegneri e l’Istituto nazionale di medicina, dopo un’indagine di 5 anni su aziende che usavano metodi di coltivazione alternativi ha concluso che sono competitive, l’impatto ambientale è basso, la resa maggiore, ed ha raccomandato di ridurre gli incentivi all’agricoltura chimica. Uno degli ultimi rapporti dell’Onu, dicembre 2010, che ha preso in esame la letteratura scientifica degli ultimi 5 anni, raccomanda l’agroecologia per lo sviluppo rurale. I metodi organici garantiscono produttività , sostenibilità  ambientale e la partecipazione attiva dei contadini.


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