Un deficit di credibilità 

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Per poi chiudere mediamente con perdite del 7-8 percento, affondate dalla svalutazione dei titoli di Stato che detengono massicciamente in portafoglio. Non sappiamo se almeno in questi giorni drammatici il Ministro dell’Economia ha deciso di rimanere a Roma per monitorare da vicino la situazione. Stando a quanto ha candidamente dichiarato in questi giorni, non passa da anni più di tre notti alla settimana nella capitale nonostante gli enormi poteri che ha accentrato su di sè in sette degli ultimi dieci anni.
Quello che sappiamo è che il sito del Ministero del Tesoro continua a essere clamorosamente privo di note che rassicurino gli investitori, tranquillizzandoli anche dopo la cancellazione dell’asta di metà  agosto. In un Paese con un debito pubblico come il nostro, il confine fra crisi di liquidità  e crisi di insolvenza è molto labile. I siti del Tesoro spagnolo, greco e portoghese, gli altri Paesi ritenuti a rischio di insolvenza, sono ricchi di documenti che illustrano le riforme varate per rilanciare la competitività .
Da noi si è fatto davvero poco in questi anni e nulla negli ultimi mesi per sostenere la crescita, ma si poteva almeno ‘vendere’ l’accordo raggiunto dalle parti sociali a inizio luglio, che definisce nuove regole per la contrattazione collettiva e le rappresentanze sindacali. È una riforma importante per chi vuole investire sull’Italia, perché migliora grandemente le relazioni industriali nel nostro Paese. Forse non si è voluto scrivere nulla a riguardo sul sito del Tesoro perché il nostro esecutivo non ha avuto alcun merito nell’accordo, se non quello di essersi tenuto fuori dalla trattativa. Al di là  del contingente, quello che oggi serve di più è dare un segnale di svolta, di maggiore attenzione rispetto ai problemi strutturali del nostro Paese. Significativamente gli spread si sono allargati soprattutto sulle scadenze più lunghe, segnale del fatto che le preoccupazioni degli investitori riguardano soprattutto le prospettive di crescita a medio termine. Vuol dire che possiamo ancora farcela, ma che abbiamo pochissimo tempo a disposizione. Purtroppo l’attenzione del nostro esecutivo continua ad essere rivolta altrove. Mentre la crisi di credibilità  si accentuava, il governo pensava a far approvare l’ennesimo provvedimento ad personam sul processo lungo. Chi ad personam colpisce, ad personam perisce: il mercato ormai ci valuta sulle persone più che sulle politiche, come se fossimo un paese sudamericano, dove contano gli individui e non le istituzioni. È un errore perché oggi in Italia c’è continuità  tra centrodestra e centrosinistra nel mantenere rigore nella gestione dei conti pubblici. Ma questo è stato il Governo più ad personam della storia repubblicana. La personalizzazione delle valutazioni sull’Italia è anche dovuta alla strategia comunicativa seguita dal nostro Ministro dell’Economia che, per salvare la sua posizione all interno di una maggioranza sempre più rissosa, ha più volte sostenuto che dopo di lui c’è solo il diluvio, che la sua presenza in via XX settembre è fondamentale per tenere la barra dritta nella gestione dei conti pubblici.
È il messaggio peggiore che oggi andava dato ai mercati, un segno di a che punto si è spinta l’irresponsabilità  dei membri del nostro esecutivo, anche quelli ritenuti fino a poco tempo fa più affidabili. Un altro messaggio sbagliato dato ai mercati in questi giorni dal governo per salvare la sua pelle ai danni del Paese è quello che la crisi ha cause esterne e che potrà  essere risolta solo con un intervento adeguato dell’Unione Europea. È un messaggio che può servire a difendersi dalle accuse di stare con le mani in mano mentre il Paese va alla deriva ma che dice a chi sta valutando se ricomprare o meno i nostri titoli alla scadenza che l Italia è ormai fortemente a rischio. Tutti sanno infatti che il nostro Paese e «too big to save», troppo grande per essere salvato da interventi comunitari. Deve farcela da solo. E anche un messaggio falso per fortuna. Possiamo davvero farcela da soli perché le cause della crisi sono nei nostri problemi strutturali, cui possiamo solo noi porre rimedio. Anche l’alibi della crisi del debito Usa, dopo il pur fragile accordo trovato al Congresso fra democratici e repubblicani sul tetto all indebitamento, è ormai caduto. Per favore allora smettiamola di parlare di speculazione e di pensare a ergere difese contro gli investitori stranieri che potrebbero comprare le aziende italiane. Abbiamo bisogno di più investitori stranieri non certo di meno in questo frangente. E la nostra è una crisi di credibilità , che possiamo risolvere solo con politiche e, a questo punto, anche persone credibili. Non può più esserlo chi ha ripetutamente dimostrato di anteporre la propria sopravvivenza personale alle sorti del Paese.


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