Siria: ministro Frattini, quei carro armati sparano italiano sui civili di Hama
Sui carri armati T72 di fabbricazione sovietica sono da anni installati i sistemi di puntamento e di controllo del tiro TURMS-T: un sistema di terza generazione “especially developed for the fire control modernisation/upgrade of Russian origin T-family tanks” – spiega il sito di Selex Galileo, ex Galileo Avionica, una controllata di Finmeccanica.
La commessa di Damasco per 500 sistemi di derivazione TURMS prodotti dalla allora Officine Galileo destinati all’aggiornamento dei carro armati T72 di fabbricazione sovietica del valore iniziale di 229 milioni di dollari (oltre 400 miliardi di lire) risale al 1998 (si veda allegato 1) ma è continuata fino al 2009 quando il Governo Berlusconi ha autorizzato la consegna di 286 parti di ricambio e 600 ore di assistenza tecnica per “sistemi di derivazioni TURMS” (si veda gli allegati riportati in fondo all’articolo tratti dalla Relazione ufficiale della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni di armi italiane). Un affare in perfetto stile bypartsan, considerato che l’autorizzazione iniziale (MAE 6530) risale al 1998 durante il Governo Prodi o D’Alema, che è proseguita nel 2003 (Governo Berlusconi II) con l’autorizzazuine alla riscossione dei pagamenti alla banca UBAE (Arab Italian Bank) ed è poi continuata con una ulteriore autorizzazione nel 2008 (MAE 17271) rilasciata tra i Governi Prodi II e Berlusconi IV e la sicura consegna nel 2009 col beneplatico del Governo Berlusconi di 219 parti di ricambio per un controvalore di 2,8 milioni di euro (si veda allegato). Una commessa di cui Unimondo si è già occupato in varie occasioni, in particolare quando gli Stati Uniti accusarono la Siria di aver trasferito armamenti a Saddam Hussein.
La banca per i pagamenti non è stata scelta a caso da Finmeccanica: considerato che l’affare non sarebbe passato inosservato se fosse stato svolto su una banca italiana, il colosso controllato dal Ministero delle Finanze ha preferito rivolgersi alla più defilata UBAE che annovera tra i suoi azionisti la Libyan Foreign Bank (azionista di controllo detenendo il 67,55%) cioè la banca offshore specializzata in esportazioni di petrolio dalla Jamahiriya Libica; UniCredit (il 10,8%) che, come per altre partecipazioni libiche, ha acquisito lo share a seguito della fusione per incorporazione di Banca di Roma (azionista iniziale di UBAE); il Gruppo ENI (il 5,4%), la Banque Centrale Populaire (4,66%) e Banque Marocaine du Commerce Extérieur (4,34%) entrambe con sede a Casablanca (Marocco); e poi Sansedoni Siena (3,67%); Intesa Sanpaolo (1,8%) e Telecom Italia (1,8%).
Cosi mentre il ministro Frattini condanna le violenze in Siria (“questo ulteriore orribile atto di repressione violenta contro i manifestanti che protestano da giorni in maniera pacifica”) e rivolge “un forte appello per la cessazione immediata delle violenze contro i civili” che hanno interessato varie città tra cui in particolare Hama, l’esercito del regime di Bashar el Assad prende la mira utilizzando i sistemi di puntamento della Galileo. Un altro esempio di strabismo della recente politica estera del governo Berlusconi che, ufficialmente non manca mai di “condannare i regimi totalitari”, ma dimentica puntualmente di ricordare le armi vendute in precedenza ai vari Gheddafi e – oggi trasferite di sottobanco e apponendoci pure il segreto di Stato – al nuovo amico di turno, il Consiglio Nazionale di Transizione libico.
In proposito il COPASIR ha in programma per domani, martedì 2 agosto, una “Audizione del Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza” seguita dall’esame della conferma dell’opposizione del segreto di Stato di cui alla comunicazione del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2011. Esame che era previsto per mercoledì 27 luglio, ma – senza alcuna motivazione – semplicemente “non è stato trattato”. C’è da augurarsi che venga trattato domani e che se ne sappia qualcosa di più. Sarebbe importante capire come si possa apporre il segreto di Stato su una materia che inerisce non solo l’embargo di armamenti alla Libia decretato dalla Risoluzione delle Nazioni Unite (in italiano, in inglese in .pdf), ma la stessa legge italiana e – non da ultima – la nostra Costituzione secondo la quale “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11).
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