Debito, fisco, crescita zero ecco i ritardi decennali che gonfiano la speculazione

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ROMA – Non è tutta colpa della crisi: la fragilità  dell’economia italiana ha radici più lontane e profonde ed è per questo che le misure lacrime e sangue varate a tempo record possono non bastare ad allontanare i fantasmi della speculazione. Se ogni giornata in Borsa – quella di oggi compresa – va vissuta con ansia e preoccupazione è perché i mercati hanno troppi dubbi sull’Italia e sulla sua capacità  di farcela. E l’origine di questi dubbi, secondo Confindustria, sta nel «decennio buttato» e nell’incapacità  dell’economia italiana di andare al cuore del problema per sciogliere i lacci che bloccano lo sviluppo: la caduta del nostro Pil è stata fra le maggiori e la ripartenza fra le più deboli. Dal 1997, dicono le imprese, il paese cresce poco e nulla: il «biennio nero» della crisi non ha fatto che rendere ancora più stretti i nodi mai sciolti. E sono questi ritardi a nutrire la speculazione.
Un rapporto del Centro Studi Confindustria fa l’elenco dei nodi da affrontare: le dimensioni del debito pubblico, innanzitutto, ma anche la mancata trasparenza e semplificazioni delle norme, le liberalizzazioni negate, la riforma del fisco, le scarse infrastrutture, la caduta degli investimenti e dei fondi per la ricerca.
Per convincere gli speculatori a girare al largo dall’Italia bisogna partire da qui. «La scadente performance italiana non è dovuta allo scenario esterno – si afferma nel rapporto – ma alle carenze strutturali e ai ritardi competitivi». La controprova, specifica, sta nel fatto che nel decennio pre-crisi il paese ha registrato la peggiore dinamica del Pil: la variazione cumulata fra il 1997 e il 2007 è stata del 15,5 per cento, contro il 25,3 di Eurolandia. Tendenze dettate da carenze storiche – il divario fra Nord e Sud – dalla difficoltà  di attrarre capitali stranieri e soprattutto dalla perdita di competitività  che induce i mercati a pensare che la montagna del debito pubblico abbia poche possibilità  di essere scalata. «Sia il disavanzo corrente sia il debito estero sono peggiorati pur in presenza di una modesta crescita dell’economia». Ciò dimostra che «il debito è destinato ad aumentare e ad assorbire una quota crescente di risorse produttive del Paese distogliendole dal circuito reddito-domanda-produzione interna». In conclusione: «Dal 1998 il debito pubblico italiano in rapporto al Pil costituisce una zavorra straordinaria per la crescita e non lascia spazi di manovra alla politica di bilancio».
E il fisco non è d’aiuto, sottolinea Confindustria, sia perché «il sistema di imposte e trasferimenti è relativamente inefficace nel ridurre le diseguaglianze», sia perché la tassazione più elevata rispetto agli paesi sottrae risorse per gli investimenti nazionali e riduce l’attrattiva per gli stranieri. «La pressione è ai massimi storici» precisa lo studio «ma oltre ad essere elevata è mal distribuita a causa dell’evasione». Su questo fronte, c’è di mezzo anche l’elevato cuneo fiscale sulle retribuzioni, lamentano le aziende, ma pesa molto pure l’eccessiva burocrazia, il taglio ai fondi per la ricerca, i ritardi nella diffusione della tecnologia (banda larga in primis), l’emergenza occupazionale per le donne e i giovani. A tutto questo la speculazione pensa quando mette in dubbio il futuro dell’Italia.


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