Spagna travolta dalla crisi finisce l’era Zapatero “Al voto a novembre”

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Questa volta la sua era politica è davvero finita. Dopo undici anni da segretario del partito socialista e sette abbondanti da premier; dopo l’annuncio che non si sarebbe ricandidato (2 aprile); dopo la sberla elettorale alle amministrative (22 maggio); dopo la rivolta dei giovani indignados della Puerta del Sol; dopo l’ascesa del barbuto Rubalcaba come successore; dopo l’ennesima minaccia di Moody’s pronta a declassare ancora il rating del debito (oggi AA2): il lunghissimo addio di José Luis Rodriguez Zapatero, ex “Bambi”, il leader spagnolo di gran lunga più amato all’estero, ha una data di scadenza. È il 20 novembre: da ieri appuntamento delle elezioni generali anticipate. Da quel giorno “Zp” non sarà  più neppure deputato, tornerà  semplicemente a Leà³n, sua città  natale.
Anticipando di quattro mesi rispetto al marzo 2012 la data delle politiche, Zapatero ha infine ceduto alle pressioni dei mercati finanziari, delle banche, degli industriali, ma anche del suo stesso partito convinto ormai che una eventuale sconfitta dei socialisti (quella che predicono da mesi tutti i sondaggi) fosse comunque preferibile alla snervante agonia di un premier travolto dalla crisi economica (inflazione, disoccupazione, Pil) e ormai rinnegato dagli stessi elettori che ne decisero il trionfo nel 2004 e nel 2008. Il primo ministro uscente ha motivato la scelta di anticipare il voto con la necessità  di «fissare un calendario chiaro per restituire stabilità » alla situazione politica. Ma il colpo di grazia alle sue speranze di portare a termine la legislatura e di lasciare la Moncloa – la sede del capo del governo – con qualche segnale positivo sul fronte dell’economia, glielo ha assestato Juan Luis Cébrian, fondatore di El Pais e oggi ad del gruppo editoriale. «Basta, meglio votare subito», ha scritto una settimana fa in un editoriale graffiante che – dicono a Madrid – avrebbe addolorato molto Zapatero. Per due ragioni: possibile che il quotidiano di riferimento del governo socialista sferra un simile attacco senza neppure avvisare con una telefonata la Moncloa? E, seconda ragione, perché dietro l’attacco del Paà­s Zapatero ha visto il pugnale di un Rubalcaba già  stanco di aspettare il suo turno e convinto che votare in autunno sarà  comunque meno doloroso per il partito che farlo in primavera.
Lo scenario è pessimo. Il leader politico che ha promosso in Spagna alcune delle riforme etiche e sociali più importanti dell’ultimo decennio (dalle leggi in difesa delle donne, all’aborto, al divorzio express, ai matrimoni gay, al recupero della memoria storica del franchismo); che ha varato il primo governo nel quale i ministri di sesso femminile erano maggioranza rispetto a quelli di sesso maschile: abbandona la scena isolato nel suo partito e quasi disprezzato dagli elettori. I tagli alla spesa e le tasse che è stato costretto ad imporre non hanno restituito fiducia verso la Spagna ma hanno disgustato i suoi votanti. Una eredità  che presenta aspetti dolorosi come la disoccupazione al 20% ed una previsione di crescita rachitica, sotto l’1 per cento.
«Una decisione presa nell’interesse generale quella di anticipare il voto», ha spiegato “Zp” in conferenza stampa, in modo che «già  dal primo gennaio il nuovo governo potrà  lavorare al recupero dell’economia e alla riduzione del deficit». Mariano Rajoy, il capo dei conservatori, applaude. I sondaggi attribuiscono al suo partito popolare un comodo vantaggio al di là  del 7-10 percento dei voti. E lui vede premiata la sua capacità  di resistenza dopo sette anni di rincorse. Ora tutte le speranze dei socialisti sono riposte in Alfredo Perez Rubalcaba, l’uomo forte dell’apparato, ex ministro degli Interni e ex vicepresidente del governo. Sessant’anni, Rubalcaba è passato alla storia finora per aver guidato la lotta contro il terrorismo basco e spera in questi quattro mesi scarsi «di recuperare la fiducia degli elettori».
Ha sorpreso la scelta della data: poteva essere una qualsiasi domenica di novembre ma è il 20, giorno nel quale ventisei anni fa gli spagnoli seppero che Francisco Franco era «passato a miglior vita». «Per me è un giorno come tutti gli altri», ha precisato Zapatero. Ma c’è il sospetto che si voglia caricare di passione ideologica l’elezione per spingere almeno una parte degli elettori di centrosinistra riluttanti a recarsi alle urne. In fondo con la morte di Franco la Spagna riconquistò la democrazia e gli avversari del partito popolare sono ancora i suoi “nipotini” ideologici.


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