Alitalia, le accuse a Cimoli e Mengozzi

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ROMA – La gestione di Alitalia tra il 2001 e il 2007 è stata dissennata e ha portato al tracollo finanziario. Ne è convinta la procura di Roma che ha chiuso le indagini e che si appresta a rinviare a giudizio gli uomini che hanno guidato in quegli anni la compagnia di bandiera. Francesco Mengozzi, Giancarlo Cimoli e altri cinque dirigenti dell’azienda. Tutti colpevoli di bancarotta, secondo il procuratore aggiunto Nello Rossi e i pm Stefano Pesci e Francesca Loy. Capi di imputazione che si basano su consulenze tecniche e su sette informative del nucleo di polizia tributaria della guardia di Finanza di Roma. Innanzitutto la dissipazione che, per le toghe, «ha cagionato ingentissimi danni patrimoniali, con pregiudizio per i creditori e gli obbligazionisti, attraverso attività  e operazioni abnormi sotto il profilo economico e gestionale, in sé gravosissime per una impresa in situazione di costanti difficoltà  economiche e finanziarie, e dissipative delle risorse pubbliche e private». Questa la premessa. A cui seguono gli episodi che i magistrati contestano. Si parte dalla gestione del settore “Cargo” (contestata a Mengozzi e Cimoli), in cui tra il 2001 e il 2007, si sono registrate perdite che sfiorano i 400 milioni di euro. E la domanda, nemmeno troppo velata, che si fanno i magistrati è: ma un’impresa privata si sarebbe accollata tante perdite?
Un filo rosso che lega tutti gli episodi presi in considerazione dall’accusa. L’ex amministratore e presidente di Alitalia, insieme ai dirigenti Gabriele Spazzadeschi e Pieluigi Ceschia, vengono poi accusati per la divisione dell’azienda in Alitalia Fly e Alitalia Servizi. Operazione che prevedeva lo stanziamento di 122 milioni di euro per fronteggiare la “diseconomie” di Alitalia Servizi e, in più, un contratto in esclusiva che prevedeva il pagamento di tariffe molto più alte rispetto a quelle di mercato e un premio da 110 milioni. Una strategia, chiosano i pm, «priva di giustificazioni economiche» che ha «avuto l’effetto di trasferire in capo ad Alitalia Fly i rischi economici connessi alle attività  del gruppo Alitalia Servizi». Un modus operandi «diretto a dissimulare il mancato risanamento di Alitalia».
Non passa nemmeno l’acquisto di Volare (di cui devono rispondere Cimoli, Spazzadeschi, Ceschia, Giancarlo Zeni e Leopoldo Conforti): la compagnia fu pagata 38 milioni di euro, «prezzo incongruo e irragionevole». Così come non convince la procura nemmeno la cessione di Eurofly per poco più di 13 milioni. Anche in questo caso il prezzo è «incongruo». Per di più se si considera che meno di due mesi prima Alitalia aveva partecipato alla ricapitalizzazione della compagnia per 5 milioni e che per l’operazione acquistava crediti inesigibili per oltre 2 milioni di euro e si accollava debiti, invece, per 500 mila. Sotto accusa anche affitti e vendite di aeromobili e consulenze milionarie. Infine l’aggiotaggio, nuovo reato che viene contestato a Cimoli che offriva «al mercato, in correlazione al rilevantissimo aumento di capitale sociale di Alitalia per 1000 milioni di euro, informazioni artificiosamente manipolate, false e destinate a risultare ingannevoli sia nei confronti degli investitori istituzionali sia nei confronti degli acquirenti sul mercato retail». Imputazioni che non convincono la difesa dell’ex presidente e ad, affidata a Riccardo Olivo e Francesco Vassalli. «La bancarotta per dissipazione – spiega l’avvocato Olivo – non si piò contestare per un’azienda come Alitalia in cui il management ha poteri decisionali ridotti».


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