«Mi offriva un caffè e capivo di dover portare mazzette di 20 mila euro»

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MILANO — Brioches e appalti, un caffè per tangente: lo racconta ai pm il costruttore (e consigliere comunale di centrodestra) Giuseppe Pasini nell’accusare un esponente storico delle giunte di sinistra di Sesto San Giovanni, l’assessore al Bilancio-Commercio Edilizia privata Pasqualino Di Leva, dimessosi una settimana fa dopo essere stato indagato: «Fino a due anni fa — sostiene Pasini — ho pagato tranche tra i 20.000 e i 50.000 euro per un totale che si aggira sulle centinaia di migliaia di euro. La prassi era che, quando veniva rilasciata una licenza, Di Leva mi chiamava e mi diceva che la licenza o qualche altro atto a me favorevole era stato approvato, e mi invitava ad andare a bere un caffè. Io capivo che avrei dovuto portare qualcosa e preparavo in una busta dei contanti che consegnavo in Comune. Decidevo io l’importo in base alle mie disponibilità .
Ricordo per esempio che due anni fa ottenni la licenza per la costruzione dell’edificio dell’Alstom Power nell’ambito dell’area Marelli e in quell’occasione gli ho dato circa 30-40.000 euro» .
«I soldi a Penati? Per me erano per il partito a livello nazionale»
Per l’ex sindaco dei Democratici di sinistra Filippo Penati, invece, come noto, Pasini per l’area Falck quantifica la tangenti («mi disse che dovevo dare qualcosa per il partito» ) in somme ben più elevate, come i 4 miliardi di lire all’estero in contanti nel 2001 al «collettore di Penati» Piero Di Caterina: perché così tanti soldi? «Perché si trattava di una operazione molto grossa per la quale potevo anche pensare che fosse necessario un pagamento a livello nazionale all’interno del partito» .
Penati contrattacca: «Singolare che Pasini nel 2001 paghi 4 miliardi all’estero a Di Caterina e Di Caterina nel 2010 chieda che io gli restituisca quei soldi: siamo alle tangenti con l’elastico… Pasini si è candidato nel 2007 a sindaco di Sesto per il centrodestra, tutti si chiedono perché abbia aspettato 10 anni a parlarne. Crolla la credibilità  di questi due imprenditori che, da indagati, mi accusano per coprire i loro guai» .
«Temevo le cooperative rosse braccio armato del partito»
Sotto i molti omissis sull’area Falck sopravvive una manciata di righe sull’iniziale tandem (poi però sfumato) tra Pasini e il gigante delle coop rosse Ccc (1,2 miliardi di euro di appalti), il cui vicepresidente Omer Degli Esposti è indagato per concussione, al pari dei consulenti Francesco Agnello e Giampaolo Salami, nell’ipotesi che li abbia imposti al costruttore, il quale li retribuì nel 2002-2004 per «consulenze» con 2 milioni e 400.000 euro in 4 fatture: «Francesco Agnello, rappresentante di politici di area di centrosinistra, si era proposto come mediatore tra noi e le coop. Mi fu presentato da Degli Esposti. La somma che ho pagato a Francesco Agnello mi è stata indicata credo da entrambi: mi sono determinato a versarla— dice Pasini— perché non potevo contraddire le cooperative se non rischiando di affossare totalmente l’operazione, e questo perché, a mio giudizio, le cooperative emiliane sono il braccio armato del partito e dunque non era opportuno litigare con le stesse» .
La perizia dei pm di Milano: Serravalle, il prezzo era congruo Penati e Di Caterina, insieme al top manager Bruno Binasco della holding di Marcellino Gavio, sono indagati anche in relazione a 2 milioni di euro che Binasco nel 2008 versò come caparra a Di Caterina per l’acquisto di un immobile di cui però poi lasciò scadere l’opzione valida fino alla fine del 2010: per l’accusa sarebbe stata la «maschera» di un finanziamento illecito al partito di Penati, sulla falsa riga di quanto il 26 aprile 2010 Di Caterina scrisse a Penati e Binasco, in una lettera sequestrata dalla Guardia di Finanza di Milano, per chiedere la restituzione delle «notevoli dazioni di denaro a Penati dal 1999» .
 Perciò da giorni si è riaccesa l’attenzione sul 2005, quando la Provincia di Milano presieduta da Penati acquisì dal gruppo Gavio-Binasco il 15% della società  autostradale «Milano Serravalle» al prezzo di 8,9 euro per ciascuna azione che Gavio aveva comprato a 2,9. L’operazione da 238 milioni, censurata nel 2010 come «priva di qualsiasi utilità » dalla Corte dei conti, già  all’epoca fu criticata da politici come l’ex sindaco pdl Albertini (che presentò un esposto) e da chi la metteva in relazione all’appoggio finanziario (50 milioni) fornito poi da Gavio alla scalata dell’Unipol di Consorte alla Bnl. I pm monzesi Mapelli e Macchia ora hanno chiesto a Milano non tutta l’inchiesta dell’epoca, ma la perizia affidata ai docenti universitari Mario Cattaneo e Gabriele Villa sulla congruità  o meno del prezzo. I consulenti dei pm milanesi rilevarono che, in un’ottica puramente privatistica, il prezzo di 8,9 euro era fuori mercato rispetto a un minimo di 4,91 euro e un massimo di 7,52. Ma ritennero che il prezzo pagato dalla Provincia potesse invece apparire «ragionevole» e «congruo» e frutto di «condizioni economicamente sostenibili» se lo si considerava nell’interesse pubblico della Provincia che, acquisendo quel 15%, si era assicurata la maggioranza assoluta della Serravalle, senza più mediazioni o alleanze con altri soggetti (anche pubblici come il Comune di Milano), esito che a sua volta ne accresceva il valore. Di fronte a queste conclusioni della consulenza, la Procura di Milano si orientò a una richiesta di archiviazione, che però a distanza di 5 anni non è ancora stata avanzata.


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