Processo lungo, il governo forza i tempi
ROMA – «Devastante» dice l’Anm. «Processo lungo significa non arrivare mai a sentenza». Parola di Luca Palamara, il presidente. Ma il “processo lungo” oggi passa, con tanto di voto di fiducia, la 48 della serie, al Senato. Perché, denuncia con forza il centrosinistra, «è l’ennesima legge per bloccare i processi del premier». Pd e Idv studiano come manifestare in aula il proprio dissenso. Uscire al momento del voto, portare cartelli, occupare l’emiciclo. «È una vergogna» dicono Finocchiaro, Zanda, Casson in una riunione dei vertici Pd. «Mossa banditesca» sentenzia il dipietrista Belisario. Ma il governo approva la fiducia in consiglio dei ministri. Tocca ad Elio Vito farsene portavoce a palazzo Madama. Seguito da una “ola” di protesta.
Un blitz. Assente il neo Guardasigilli Nitto Palma, che giura al Quinale e si chiude in via Arenula per un incontro con l’omologo messicano e per incontrare la squadra che eredita da Alfano. Sul “processo lungo” né parole, né presenza in aula. Evita, nonostante scalpitino i giornalisti messicani, un incontro stampa che si risolverebbe in domande sulla nuova creatura ad personam. Lo criticano la Pd Anna Finocchiaro («Venga qui e spieghi una noma giustificata solo dalla necessità di salvare il premier») e Antonio Di Pietro («Se il buongiorno si vede dal mattino siamo messi male»). Battesimo di fuoco oggi. Si vedrà come concilia le dichiarazioni d’esordio, «lavorerò per riforme condivise», col primo voto di fiducia sul “processo lungo”.
Barricate a sinistra. «Vergogna. Un’altra fiducia per un’altra norma ad personam» tuona Rosy Bindi. Passo «da irresponsabili» per Finocchiaro. «Mossa da regine» per Luigi Zanda. L’Anm spiega perché è contro. «Queste norme – scrivono Palamara e il segretario Giuseppe Cascini – avranno effetti devastanti e determineranno la paralisi di tutti i dibattimenti oggi pendenti».
Sì, è questa la contraddizione. Tra quello che ragione e raziocinio consigliano di fare e ciò che viene fatto perché serve al premier. Per caso, complice un convegno sul carcere contemporaneo e a pochi metri dall’aula, il contrasto esplode nelle parole del presidente del Senato Renato Schifani. Dice che il processo penale è troppo lungo e «occorre individuare correttivi che lo rendano più spedito». Da palazzo Giustiziani si trasferisce di fronte e lì prende atto della fiducia su una norma che allungherà spaventosamente i tempi del dibattimento. Con tre mosse. La prima. Cambia l’articolo 190 del codice di procedura sul «diritto alla prova». Oggi il giudice può escludere quelle «superflue e irrilevanti», domani dovrà respingere solo le «manifestamente non pertinenti». Idem per i testi. Seconda mossa. La regola entra in vigore subito per i processi in primo grado. Compressi quelli di Silvio. Terza mossa. Muta l’articolo 238bis: le sentenze definitive non si possono più usare nei nuovi processi. La Lega spunta un compromesso e ingoia la fiducia. Anche se Bossi dice «adesso basta». La norma non varrà per i reati gravi, come mafia e terrorismo. Almeno una parte del principio introdotto da Falcone è salvo.
Tre mosse «devastanti». Che il pidiellino Enrico Costa difende perché contro vengono dette «gigantesche falsità e considerazioni demagogiche». Al Senato minimizzano Quagliariello e Gasparri. Ma gli esempi negativi dell’opposizione piovono copiosi. Cosa rispondere a Pancho Pardi (Idv) che denuncia un futuro «processo di classe» in cui saranno i ricchi e potenti avvocati alla Ghedini a dettare legge? E ancora. Non ci sono argomenti contro chi, come l’Anm, sostiene la possibilità di citare come testi migliaia di cittadini qualora l’imputato voglia avere la prova che non era in quella città , a quell’ora, quando il delitto fu commesso. O se, accusato di uxoricidio, vuole portare in aula una schiera di parenti e amici. Irridono il governo i senatori-magistrati. Felice Casson, Silvia Della Monica, Alberto Maritati, Gerardo D’Ambrosio, Gianrico Carofiglio. E ancora l’avvocato dell’Idv Luigi Li Gotti. Fanno esempi. Casson sventaglia l’elenco delle escort di Milano, e sono centinaia, che Berlusconi potrebbe pretendere per Ruby. Gli altri citano un delitto alla stadio, uno in un caseggiato affollato. Non c’è niente da fare. La finiana Giulia Bongiorno considera il “processo lungo” un ddl «inaccettabile. Dario Franceschini «una vergogna soprattutto con la crisi che aggredisce il Paese». Andrea Orlando: «Cambia il ministro, non cambia la musica».
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