Napolitano: dubbi e rilievi sui «ministeri al Nord»
ROMA— Che cosa significano le foto del capo dello Stato appaiate ai ritratti del gran capo della Lega? E che cosa vogliono dire i clic delle targhe in bronzo con lo «stellone» della Repubblica davanti alle quali Calderoli brandisce la statuetta di Alberto da Giussano? E come interpretare le mazzette di euro sventolate da Umberto Bossi per segnalare che i costi per i nuovi sportelli al Nord di quattro ministeri sono sostenuti «in proprio» ?
Insomma: siamo di fronte all’inaugurazione di uffici di rappresentanza del governo o al pomposo taglio del nastro della nuova sede di un movimento politico? Sono state probabilmente anche le immagini di quell’happening, sommate a certi proclami dei colonnelli lumbard, a inquietare Giorgio Napolitano nei giorni scorsi. Ha voluto rifletterci sopra per 72 ore, aspettando chiarimenti (non giunti) e verificando nel contempo alcuni dubbi sulla coerenza con il dettato costituzionale della scelta compiuta dall’esecutivo. Ieri sera, infine, ha spedito a Palazzo Chigi una densa lettera in cui riassumeva i suoi «rilievi» e i suoi «motivi di preoccupazione sul tema, oggetto di ampio dibattito, del decentramento delle sedi dei ministeri sul territorio» .
Anche se il testo non è stato reso noto, è ovvio che i «rilievi» del presidente sono di ordine giuridico e hanno a che fare con la genesi stessa delle sedi aperte nei 150 metri quadrati adibiti ad hoc della Villa Reale di Monza. Sono state infatti istituite con lo strumento del decreto dei rispettivi ministri — con firma dei titolari dei dicasteri e del premier, ma senza passare dal Consiglio dei ministri o dal Parlamento — perché evidentemente la nostra Costituzione escludeva la praticabilità di altre formule. Vale a dire che i non aggirabili limiti posti dal Titolo V e dalle norme che salvaguardano l’unità nazionale avrebbero potuto bloccare tutto. E chi ha fatto quella mossa lo sapeva bene. Senza contare il peso delle differenze tra i ministeri sbrigativamente ridislocati: quelli senza portafoglio (Semplificazione, Turismo, Riforme) e quello dell’Economia, per il quale era necessaria una modifica del regolamento organizzativo.
I «motivi di preoccupazione» di Napolitano sono invece di ordine politico-istituzionale. E si riferiscono ad altri aspetti ambigui del trasloco dei ministeri preteso dalla Lega (ambiguità rimaste intatte anche dopo che quegli uffici sono stati derubricati a «rappresentanze operative e con funzioni di sportello per i cittadini» ), tali da suscitare aspre polemiche dentro la stessa maggioranza di governo. Il capo dello Stato, comunque, aveva già lanciato un chiaro avvertimento su questa partita, il 12 maggio, da Firenze. Quando aveva spiegato che, «dopo il federalismo fiscale serve una Camera delle regioni e delle Autonomie» , e aveva però aggiunto: «Ci sono delle funzioni che non possono essere frammentate e ci sono beni che non possono essere abbandonati all’arbitrio di gestioni locali» .
Per evitare equivoci, aveva elencato esplicitamente i ministeri dell’Interno, degli Esteri e della Cultura tra gli esempi di dicasteri che non potranno essere mai trasferiti proprio per la natura e il ruolo nazionale. Concetti ribaditi in qualche modo a Verona, in terra ad alta densità leghista, dunque, il 17 giugno. Quando parlò della «nostra grande scommessa» e dello «Stato nuovo che vogliamo costruire» , facendo un’altra apertura di credito alle istanze federaliste e tuttavia richiamando con forza i principi dell’Italia «una e indivisibile» .
L’argine invalicabile resta quello, per lui, chiamato a rappresentare appunto l’unità nazionale. Ora, lo show di Monza, giocato sull’orlo delle regole e quasi alla stregua di una provocazione come spesso accade con le iniziative della Lega, sta creando una confusione politica e istituzionale per dissipare la quale urge un chiarimento. Palazzo Chigi, da dove si è subito fatto sapere che la lettera di Napolitano è stata accolta «con rispetto e attenzione» , ha promesso una risposta per oggi.
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