Aziende che abusano del panda
L’accusa è pesante, e a formularla è Global Witness, organizzazione di investigazione ambientale. In un dettagliato rapporto diffuso lunedì sostiene che il programma «Global Forest and Trade Network» (Gftn, Rete globale per le foreste e il commercio), creato appunto dal Wwf, ha concesso il suo logo ad alcune aziende che non lo meritano affatto.
Il rapporto (Pandering to the Loggers) cita in dettaglio i casi di tre imprese membri della rete Gftn. Uno è l’azienda di legname malaysiana Ta Ann Holding Berhad, che nonostante si fregi del marchio con il panda ha operazioni forestali che distruggono foreste tropicali per un equivalente di 20 campi di calcio al giorno, tra l’altro in una zona che è habitat dal orang-utan (specie minacciata e protetta) all’interno di un progetto dello stesso Wwf sotto il nome «Heart of Borneo». Un altro caso è Jewson, azienda britannica di forniture per le costruzioni, che nonostante sia entrata nella rete del Wwf continua ad acquisire legnami di fonte illegale. Infine il Danzer Group, azienda svizzzero-tedesca la cui sussidiaria nella Repubblica democratica del Congo è protagonista di conflitti con le comunità locali che hanno dato luogo a violazioni dei diritti umani, tra cui stupri e pestaggi da parte delle forze governative.
Il Wwf internazionale respinge le accuse – anche se nella dichiarazione messa sul suo sito web non entra nel merito delle singole aziende citate da Global Witness – e difende l’efficacia del suo programma per «rinsavire» le imprese. La rete Global Forest and Trade Network è uno dei programmi chiave del Wwf internazionale; creata 20 anni fa, intende promuovere il commercio di legname legale e sostenibile, in particolare attraverso il sistema di certificazione Forest Stewardship Council (Fsc). L’obiettivo dichiarato dal Wwf e «trasformare il mercato globale in una forza positiva che contribuisca a salvare le foreste più importanti e minacciate»: le aziende hanno un vantaggio commerciale se possono etichettare i propri prodotti come «sostenibili» e questo le spinge a osservare le norme della foresteria sostenibile. La rete Gftn (insieme al Fsc) è il più grande e noto programma di certificazione dei prodotti forestali al mondo, e riceve finanziamenti dagli Usa e dall’Unione europea. Le aziende pagano per farne parte. Oggi la Gftn ha 288 membri da una trentina di paesi, che commerciano in tutto 252 milioni di metri cubi di legno (il 16% del commercio globale di prodotti del legno, con vendite annuali per 68 miliardi di dollari). Di questi, 75 sono aziende che producono legname in Russia, America Latina, Africa e Asia (in totale hanno concessioni su circa 240mila chilometri quadrati di foreste: un’area superiore all’Italia, circa pari al Regno unito); poi ci sono aziende che lavorano e/o commercializzano legno o prodotti in legno; il Wwf precisa che ci sono anche ong e comunità locali.
Le accuse di Global Witness sollevano in primo luogo un problema di trasparenza e funzionamento di questo programma che dà una etichetta di sostenibilità alle aziende: troppo poche le informazioni pubbliche, dice, e le regole di partecipazione permettono ad alcune aziende di abusarne. Forse mancano meccanismi di controllo adeguati, insiste Global Witness: «Se un programma creato in mome della sostenibilità tollera tra i suoi membri un’azienda che distrugge l’habitat del orang-utan, qualcosa non funziona». Ma forse è in questionel’intera strategia dei programmi volontari – e la sua efficacia.
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