SIRIA. Sotto pressione, Assad ammette nuovi partiti
Al Baath, dall’ideologia nazionalista araba e socialista, l’articolo 8 della costituzione assegna il ruolo di «guida dello stato e della società » – e l’attuale legge la maggioranza dei seggi parlamentari. Gli altri partiti legali, di ispirazione nazionalista, socialista e il Ssnp (Partito sociale nazionale siriano, che promuove d’idea di una Grande Siria), rientrano nel Fronte Nazionale Progressista dominato dal Baath. Realtà di grande importanza politica, ideologica e storica per i paesi arabi, in Siria in 48 anni il Baath ha costituito di fatto un regime a partito unico, contro cui da 4 mesi si sono scatenate le proteste. La nuova legge sui partiti, insieme a una legge elettorale e una sull’informazione (oggi controllat a dallo stato), è una delle riforme concesse dal presidente Bashar Al Assad sotto la pressione popolare. Ma il diavolo è nei dettagli. I nuovi partiti devono rispettare la costituzione (dunque il ruolo dominante del Baath in quella attuale, anche se Bashar ha parlato di possibilità di emendarla), l’unità del paese e i diritti umani («vale anche per il Baath?» tweetta un oppositore). Non sono ammessi partiti costituiti su base religiosa, tribale, regionale o con discriminazioni di etnia, genere o razza, né sezioni di partiti con base all’estero. Dunque no a una formazione politica dei Fratelli musulmani, la realtà d’opposizione più organizzata e con più consenso tra la maggioranza sunnita, mentre potrebbe esserci spazio per un partito musulmano moderato sul modello dell’Akp turco; e no a partiti basati esclusivamente nelle regioni curde o con richiamo esplicito all’etnia curda. Per la fondazione di un partito servono almeno 2000 aderenti presenti in più della metà dei 14 governatorati (province siriane), non meno di 5% in ognuno. Infine, i nuovi partiti devono essere approvati da una commissione governativa. La nuova legge è stata accolta senza calore dall’opposizione. «Ogni volta che sente le pressioni internazionali, il regime fa concessioni, ma sono di facciata. Ha revocato la legge d’emergenza il 20 aprile, ma rimane il potere agli apparati di sicurezza che hanno represso le proteste. Mentre parliamo di nuovi partiti i carri armati sono sulle strade di Homs, e ogni giorno si contano vittime» afferma Walid, un organizzatore delle proteste. «In prossime libere elezioni, è facile prevedere che i partiti islamisti ottengano la maggioranza relativa, ma non credo quello assoluta. E in Siria non dovremmo commettere l’errore dell’Algeria». In due recenti rapporti («Siria: la lenta rivoluzione» e «Siria: il lento suicidio del regime»), il International Crisis Group afferma che misure significative se adottate tempestivamente da parte del regime, ora appaiono tardive. Mentre all’inizio delle proteste i manifestanti chiedevano riforme democratiche e sociali, dopo la sanguinosa repressione delle proteste (oltre 1.400 vittime), il loro obiettivo ora è la fine del regime.
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