Il secondo tempo del Colle

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 Il giorno dopo del Quirinale. Dal monito di giovedì ai magistrati perché evitino di fomentare lo scontro con la politica allo stop dettato ieri agli «attacchi inammissibili alla magistratura». Non è una correzione di rotta, spiega il presidente della Repubblica, perché i suoi richiami alla magistratura – ricorda – sono stati «costanti e coerenti negli anni». Ha ragione. Ma l’unico modo per non vedere un aggiustamento del tiro in due discorsi così agli antipodi a 24 ore di distanza è prendere per buona l’avvertenza: il mio primo discorso, ha detto ieri Napolitano durante la cerimonia del Ventaglio con la stampa parlamentare, solo casualmente coincideva con le vicende degli onorevoli Papa e Tedesco e con la nuove inchieste già  note o annunciate che coinvolgono politici importanti. «Non commentavo – ha detto – libere decisioni del parlamento che ho sempre rispettato».

Ma gli interventi di Giorgio Napolitano fin qui non sono mai stati astratti dalla cronaca politica. E tutti i commentatori, sia i tanti che hanno apprezzato che i pochi che hanno criticato, hanno letto nel «severo monito» del Quirinale l’intenzione di frenare sul nascere la speranza (o l’incubo) che in questa fase di crisi la magistratura possa tornare a farsi supplente della politica. Come negli anni di Tangentopoli. Travolto dalle felicitazioni del centrodestra, il presidente della Repubblica ieri ha sentito il dovere di chiarire che il suo invito ai giovani magistrati a evitare «comportamenti che offuschino la credibilità  e il prestigio» era stato fatto proprio per «vanificare attacchi inammissibili alla magistratura» e «disinnescare un fuorviante conflitto tra politica e magistratura». Con tanti saluti a chi, come Antonio Di Pietro non nominato dal presidente ma chiaramente riconoscibile, si atteggia a «difensore d’ufficio della magistratura».
Colpi al governo del resto Napolitano non ne ha lesinati neanche ieri. Ripetendo ancora una volta il suo invito al confronto tra i partiti, si è chiesto retoricamente se «il quadro politico presenta un grado di effettiva stabilità  e capacità  decisionale e in pari tempo di apertura tale da favorire sviluppi ed esiti positivi del confronto che sollecito». Evitando di rispondersi «certamente no» solo perché non era necessario. Del resto della situazione di difficoltà  del governo il capo dello stato ha parlato chiaramente e senza giri di parole, quando gli è stato chiesto della mancata sostituzione di Alfano al ministero della giustizia. «Non ho visto nessuna lista di nomi – ha detto Napolitano -, so solo che una lista di 12 candidati è arrivata ai giornali. Io non ho dato nessun avallo per rinviare la nomina a settembre, ho detto che sono pronto in qualsiasi momento. Mi sembra che non siano pronti loro, che abbiano altri problemi. L’unica cosa che ho raccomandato – ha aggiunto – è di evitare l’effetto domino che si creerebbe prendendo qualcuno dal governo per nominarlo guardasigilli. Sarebbe meglio prenderlo dal parlamento».
Anche questa puntigliosa ricostruzione è una conferma della linea «interventista» del Quirinale nel momento in cui il presidente dà  conto delle difficoltà  del governo e indica possibili soluzioni ai problemi. Non per nulla nel corso della cerimonia di ieri il presidente è tornato a parlare del suo ruolo nella vicenda dell’approvazione veloce e senza ostruzionismo della manovra economica. «Era una prova che l’Italia doveva dare», ha detto. «Ho considerato che fosse mio dovere porre decisamente questa esigenza, senza tenere alcun conto delle convenienze dell’una o dell’altra parte politica, senza invadere o occupare alcuno spazio o ruolo che non fosse il mio», ha aggiunto. Anche questa è una rivendicazione molto netta di una linea non precisamente da «notaio della Repubblica». Anche se, ammette lo stesso Napolitano, alla luce dei risultati di Borsa anche «quella prova di coesione», la manovra così pesante e così rapidamente condotta in porto, «indubbiamente non è stata risolutiva».
Non per questo il presidente della Repubblica fa capire di voler rinunciare a indicare la via per la ripresa del paese, non intende spegnere il suo «faro». «Serve ancora un impegno di coesione», afferma convinto. Escludendo però «competizioni perverse sul terreno della dissimulazione, della sdrammatizzazione e del populismo demagogico». Comportamenti che sul Colle si considerano sbagliati e che messi insieme sembrerebbero comporre il ritratto dell’attuale presidente del Consiglio.


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