Tutto il potere a Pagliaro e Nagel così finisce l’era Geronzi-Bollorè

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MILANO – Mediobanca sempre più in mano ai manager e i soci francesi sotto tutela. L’effetto pratico delle decisioni prese ieri, infatti, è quello di avere una più netta separazione tra gestione e proprietà : Dieter Rampl, Vincent Bollorè e Marco Tronchetti Provera, esponenti dei rispettivi gruppi di soci, usciranno dal comitato nomine e lasceranno spazio a due consiglieri indipendenti. Inoltre Bollorè dovrà  chiedere il consenso del patto per sostituire soci nel gruppo C, come il Banco Santander che ha deciso di uscire. A ciò si aggiunga che Mediobanca è la prima a inserire nello statuto dei limiti di età , dando una scossa alla gerontocrazia bancaria che ha imperato fin qui. Sono i primi segni palpabili della fine dell’era Geronzi, dal momento che queste innovazioni sono state introdotte dagli stessi uomini che il 6 aprile scorso hanno defenestrato il presidente delle Generali, Geronzi appunto. E non è un caso che Bollorè, uscito perdente da quella battaglia, ha oggi dovuto abbozzare accompagnando le nuove regole. Niente rivincite, per il momento. Né sponde con Fininvest e Mediolanum, come si era supposto qualche mese fa. Si ritorna invece allo schema di Enrico Cuccia, che vedeva i manager controllare la banca, le partecipate e gli stessi azionisti che usufruivano dei servigi di Mediobanca. Ma in una versione moderna dello schema che vede il presidente Renato Pagliaro, l’ad Alberto Nagel e il dg Francesco Saverio Vinci a capo della gestione della banca ma anche di quella, più sensibile in termine di poteri, delle partecipate. E i soci che se ne stanno in disparte a giudicare il management con una conferma o una dipartita al termine del triennio. Insomma una governance più normale e più in linea con gli standard internazionali, fortemente voluta dall’ad Alberto Nagel dopo l’esperienza degli ultimi dieci anni. Basta con la “lottizzazione” delle partecipate operate dai soci forti, come aveva imposto Geronzi con la costituzione del comitato nomine una decina d’anni fa. «Se il comitato nomine fosse stato composto solo da manager e consiglieri indipendenti – dicono ora nelle stanze di Mediobanca – Geronzi non sarebbe mai andato a Trieste e si sarebbe evitata la traumatica uscita di un anno dopo». Il perché è presto detto: Pagliaro e Nagel non erano affatto convinti che Geronzi fosse l’uomo giusto per le Generali tanto è vero che il secondo, cui spettava il potere di proposta, non fece mai alcun incontro con Geronzi prima di quel comitato. Successe poi che arrivarono pressioni dal socio (di Generali) De Agostini e dalla stessa Unicredit a evitare rotture traumatiche. E così Pagliaro e Nagel acconsentirono le volontà  di Geronzi ma in cambio chiesero e ottennero una composizione del nuovo cda il più possibile indipendente. Ma le frizioni tra manager e soci non furono costruttive e di qui la scelta, maturata ieri, di lasciar campo libero ai primi su chi può rappresentare al meglio la banca nelle sue partecipate. Ora bisognerà  vedere cosa comporterà  nella pratica l’aver assegnato tutto il potere a Nagel e Pagliaro. Il primo consiglio in scadenza è quello della Rcs di cui Mediobanca è il primo azionista con il 14%. Il patto della casa editrice sta discutendo se permettere ai soci di acquistare azioni fuori dal patto, come vorrebbe fare Della Valle, e di far scendere la quota sindacata al 51%. Forse alla riunione del 28 luglio si capirà  se la svolta in Mediobanca avrà  sortito effetti importanti anche sul Corriere della Sera.


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