San Raffaele, ultimatum della procura “Piano entro settembre o fallimento”

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MILANO – La Santa Sede frena sul salvataggio del San Raffaele, mentre la Procura di Milano dà  due mesi di tempo al nuovo cda dell’ex-impero di Don Verzè per metterne a punto il piano di riassetto. «Allo stato noi non siamo in grado di dare garanzie sul rilancio del gruppo – ha spiegato ieri dietro condizione d’anonimato uno dei quattro consiglieri nominati dalla Santa sede nel consiglio della Fondazione Monte Tabor – . Non sappiamo quale è il suo reale stato di salute e ci sediamo al tavolo del cda con grande prudenza, senza accettare piani e tempi imposti da altri. Prima guarderemo i numeri. Poi, e solo se ci saranno le condizioni, metteremo a punto un progetto». Tempo non ce n’è in realtà  molto. Entro il 15 settembre, infatti, in assenza di un piano concreto (soldi compresi) per rimettere in sesto i conti, la procura di Milano potrebbe far scattare la richiesta di fallimento per il San Raffaele, messo in ginocchio da un miliardo di debiti.
L’ultimatum è stato esplicitato ieri dai magistrati meneghini all’ex ministro della giustizia Giovanni Maria Flick, neo consigliere dell’ospedale in rappresentanza del Vaticano. Flick avrebbe chiesto una “tregua” giudiziaria di tre mesi, ma i magistrati hanno deciso di anticipare le scadenze. Il nuovo cda, dicono, sarebbe «giuridicamente precario» perché in virtù dello statuto di Fondazione Monte Tabor, la cassaforte del sacerdote veronese, Don Verzè può revocarlo in ogni momento. I pm sono preoccupati anche per l’opacità  dei conti del gruppo anche se il San Raffaele ha categoricamente smentito ieri l’esistenza di «contabilità  parallele o di soldi neri all’estero».
La palla è ora dunque nel campo del Vaticano. Che dovrà  bruciare i tempi per quadrare il cerchio. Oggi un consiglio della Fondazione dovrebbe cooptare (come consulente esterno) un super-esperto di ristrutturazioni impossibili come Enrico Bondi, il risanatore di Enimont e della Parmalat post-Tanzi, affidando invece la gestione operativa del business a Renato Botti, un interno del San Raffaele che negli ultimi tempi si era allontanato dall’ospedale dopo alcuni scontri con Don Verzè. Il primo compito del nuovo vertice, dicono indiscrezioni vicine al nuovo cda, sarà  quello di far luce sul reale stato di salute finanziaria dell’ospedale, per capire i suoi reali margini di redditività  e la praticabilità  del salvataggio. Solo in una seconda fase si deciderà  quale strada giuridica seguire per rimettere in sesto l’azienda. «Ma se i conti non tornano potremmo anche sfilarci e portare i libri in tribunale per il fallimento», dice una fonte legale vicina al Vaticano. Una precauzione comprensibile visto che il nuovo cda di profilo piuttosto alto (tra gli altri c’è il numero uno dello Ior Ettore Gotti Tedeschi) non vuole rischiare niente sotto il profilo giudiziario per i buchi di Don Verzè.
L’ipotesi più probabile e soprattutto più praticabile resta quella di un concordato preventivo (anche se il sacerdote veronese sarebbe contrario). Alcuni rappresentanti del nuovo consiglio avrebbero non a caso incontrato lo studio Borghesi & Colombo che assieme ai legali di Bonelli Erede Pappalardo hanno già  messo a punto una richiesta di concordato pronta per essere depositata in tribunale. Le banche in quel caso potrebbero garantire 150 milioni di nuova cassa e lo Ior ridurrebbe così il suo impegno finanziario per puntellare i conti del San Raffaele. Senza interventi del mondo del credito, la banca del Papa rischia di dover mettere sul piatto fino a 250-300 milioni. Un’altra ipotesi è quella di attivare altre procedure come la Marzano (quella utilizzata per Parmalat) in grado non solo di proteggere il San Raffaele dai creditori ma pure di lasciare la gestione in mano al Vaticano.


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