Al via la causa dei Mau Mau

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Le due settimane di udienze avevano riportato al presente la sanguinosa repressione contro la resistenza Mau Mau in Kenya, messa in atto dall’amministrazione coloniale tra il 1952 e il ’61: oltre 20.000 morti, violenze e torture sui prigionieri (circa 150.000) rinchiusi nei campi di concentramento. Fra questi, il principale dirigente politico del fronte unito indipendentista (Kenya Africa Union), Jomo Kenyatta, futuro presidente del paese, condannato a sette anni di carcere nel ’53. Venne accusato di aver sostenuto il recupero violento delle terre kikuyi – sottratte dalle autorità  britanniche alle popolazioni – portato avanti dai Mau Mau, braccio armato degli indipendentisti. Finì in prigione anche il nonno del presidente degli Stati uniti, Barack Obama.
I quattro kenioti – tutti fra i 70 e gli 80 anni – hanno raccontato l’inferno subito nei lager coloniali. Ndiku Mutua, accusato di aver portato viveri alla resistenza, nel ’57 è stato torturato e castrato. Stessa sorte è toccata a Paulo Nzili. Wa Nyingi, sopravvissuto ad abusi e violenze, nei suoi nove anni di carcere ha visto morire sedici compagni, torturati a morte. Jane Muthoni Mara è stata frustata e violentata.
I quattro chiedono pubbliche scuse da parte della Gran Bretagna e l’apertura di un fondo di risarcimento per le vittime della repressione. «Voglio giustizia per morire in pace», ha dichiarato Wa Nyingi. Un’altra querelante, Susan Ngondi, è morta prima dell’apertura del dibattimento.
Dopo quasi mezzo secolo, il processo non ha però solo una tardiva valenza simbolica. Non solo farebbe giurisprudenza per le vittime keniote ancora vive (circa 1.400), ma potrebbe aprire la strada ad altre vertenze internazionali contro l’occupazione coloniale britannica: dalle rivolte arabe in Palestina durante gli anni ’30, all’insurrezione comunista in Malesia nel 1948, alla ribellione armata a Cipro nel ’55….
Gli avvocati hanno esibito molti documenti che attestano la responsabilità  dei britannici: estratti dagli archivi del Foreign Office, riportati dal Kenya dopo l’indipendenza del ’63.


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