Il tallone di Silvio
La rottura dell’alleanza è clamorosa. Gran parte del gruppo leghista ha scelto di andare nella direzione opposta alle indicazioni, perorate fino all’ultimo, dal presidente del consiglio. Eppure non è la plateale spaccatura della maggioranza, già da lungo tempo in agonia, quel che giustifica il panico del leader. Tanto più che nel voto espresso nelle stesse ore dal senato, questa volta contro la carcerazione di Alberto Tedesco, i sospetti cadono, oltre che sulla squadra di Bersani anche sugli uomini di Bossi. Nel segreto dell’urna molte ipocrisie trovano un rifugio sicuro.
E’, invece, il riflesso simbolico su una intera fase politica a illuminare lo sgomento dei Berlusconi e dei Cicchitto di fronte al crollo delle colonne d’Ercole che avevano accompagnato, protetto, recintato il perimetro degli anni ’90 e ancora più indietro, fino al 1984, quando le cronache registrarono l’ultimo sì a un’autorizzazione a procedere nei confronti di un parlamentare.
A crollare è il muro maestro della cittadella berlusconiana. Il garantismo o il cappio questa volta non c’entrano nulla, e l’onorevole Papa che si dichiara «prigioniero politico» è solo patetico. Né la temuta reazione della piazza, di fronte all’ennesima prova di arroganza di una classe dirigente corrotta e senza politica, può essere invocata per giustificare il voto e per ritrovare una legittimazione elettorale.
Per quanto tattica, e in fondo a protezione di quel poco di credibilità che ancora resta al centrodestra per non sfasciarsi del tutto, la scelta della Lega segna una rottura sul fronte della legalità , colpisce il tallone del capo. Berlusconi perde l’alleato fedele sulla trincea che più lo espone alla sconfitta. L’assenza di Bossi dal teatro di una giornata campale, giustificata con una specie di certificato medico («è stanco e affaticato»), vale più delle rassicurazioni ripetute come uno scongiuro («vado avanti, il voto non ha a che fare con il governo»). Che non allontana i presagi di sventura se già oggi il suo governo si troverà a combattere contro la Lega sul rifinanziamento della guerra in Libia. La spina non è stata ancora staccata, ma la corrente va e viene e il cortocircuito che ci porterà alle elezioni è innescato.
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