Mediobanca, soci fuori dal comitato nomine

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MILANO – Si preannunciano nuove scintille tra i soci di Mediobanca. Per domani è stata convocata la riunione del direttivo del patto di sindacato e in quella sede verrà  con ogni probabilità  proposta una modifica nella governance della banca che sicuramente farà  discutere. Il principale socio Unicredit, rappresentato nel direttivo dal presidente Dieter Rampl e dall’amministratore delegato Federico Ghizzoni, in accordo con il management, proporrà  di ridurre i componenti del comitato nomine da sei a cinque. Ma sarà  soprattutto la sua composizione a creare qualche mal di pancia tra i soci: verrebbe infatti confermata la presenza di tre manager, il presidente Renato Pagliaro, l’ad Alberto Nagel e il dg Francesco Saverio Vinci, affiancati da due amministratori indipendenti presenti nel consiglio della banca. In pratica, secondo questo schema che vorrebbe lasciare al management le decisioni sui nomi da indicare nelle partecipate, nel comitato nomine non ci sarebbe posto per i rappresentanti dei soci forti come al momento sono Rampl, Vincent Bollorè e Marco Tronchetti Provera.
A questo punto occorre fare un passo indietro. L’istituzione di un comitato nomine in seno a Mediobanca risale a una decina d’anni fa quando il vicepresidente era Cesare Geronzi e la volontà  quella di permettere ai soci di peso della banca di indicare propri uomini nelle partecipate di piazzetta Cuccia. E poiché le partecipate si chiamano Generali, Rcs, Pirelli, Telecom Italia, si capirà  bene che il comitato nomine è il principale snodo di potere che ruota intorno al sistema Mediobanca. Lo si è visto bene nella primavera 2010 quando da una riunione del comitato nomine non proprio lineare è uscita la decisione di indicare Geronzi alla presidenza di Generali e una lista per il consiglio di amministrazione frutto di compromessi tra manager, soci francesi e soci bancari di Mediobanca. Qualche anno prima, alla fine del 2007, si è sfiorato il conflitto esplosivo sulla nomina di Franco Bernabè al vertice di Telecom Italia, con l’astensione di Rampl e il non voto di Tronchetti.
Ora, dopo l’uscita di scena di Geronzi lo scorso 6 aprile, si intende tornare all’antico e ridare al management il potere di decidere quali siano le persone più adatte a rappresentare Mediobanca nelle partecipate. Ma non tutti saranno d’accordo, in primo luogo Bollorè che in questi anni ha giocato un ruolo importante nel definire gli assetti delle partecipate, sostenendo Geronzi e diventando vicepresidente di Generali, indicando Tarak Ben Ammar nel consiglio di Telecom. Ma anche i soci industriali rappresentati da Tronchetti Provera potrebbero battere i pugni sul tavolo. Potrebbero per esempio sostenere la necessità  di avere sei componenti nel comitato per obbligare i manager a trovare il consenso di almeno uno dei consiglieri indipendenti. E poi, anche lo status di indipendente crea qualche problema: nel cda Mediobanca quelli che hanno i requisiti sono Ben Ammar, Roberto Bertazzoni, Angelo Casò, Fabrizio Palenzona e Marco Parlangeli. Ma Ben Ammar e Palenzona sono targati e Parlangeli, ex dg della Fondazione Mps, in piazzetta Cuccia è stato eletto dalla lista di minoranza.


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