La lunga mano di Tel Aviv

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Protesta da Gaza il governo di Hamas, attraverso il suo portavoce Ismail Radwan che denuncia un «crimine di guerra e una violazione dei diritti umani». Si fanno sentire anche i Verdi tedeschi al Parlamento europeo che ieri hanno chiesto a Israele di garantire i diritti dei 16 attivisti che erano a bordo della Dignité. E non manca di intervenire anche il premier turco Erdogan che prima ha silurato la Flotilla 2, ordinando (segretamente) agli attivisti del suo paese di farsi da parte, e ora afferma di volere visitare al più presto Gaza, passando per il valico di Rafah.
Condanne, critiche, prese di posizione che, in apparenza, rendono meno soli in queste ore i tanti che in giro per il mondo hanno lavorato all’organizzazione della Flotilla 2 dedicata a Vittorio Arrigoni. Tuttavia non deve essere sottovalutata la prova di forza vinta da Israele che questo mese ha dimostrato la sua enorme influenza sui governi occidentali, ottenendo prima lo stop greco (e non solo) delle navi dirette a Gaza e poi la piena collaborazione delle compagnie aeree occidentali nell’impedire a centinaia di attivisti, lo scorso 8 luglio, di raggiungere i Territori occupati nel quadro dell’iniziativa internazionale «Benvenuti in Palestina». Senza dimenticare il silenzio assordante del presidente dell’Anp Abu Mazen e il disinteresse totale del mondo arabo, ben evidente nonostante il comunicato diffuso ieri dalla Lega araba.
Ieri Anshel Pfeffer, sul sito del quotidiano Haaretz, sottolineava che Israele «ha imparato dagli errori commessi» lo scorso anno quando la Flotilla 1 venne fermata con le armi dai commando della Marina e gli attivisti uccisi furono nove (tutti turchi). Un misto di diplomazia, politica, pressioni e, forse, anche promesse concrete fatte ai greci al collasso economico, sono state sufficienti a paralizzare iniziative internazionali a sostegno dei palestinesi pianificate per mesi. Le forze armate israeliane si sono addestrate per settimane ma alla fine il premier Netanyahu ha scoperto, forse oltre le sue aspettative, che ai governi occidentali e a quelli arabi importa poco o nulla dei diritti dei palestinesi. L’occupazione militare e la negazione dei diritti di un popolo potranno andare avanti ancora per anni ma europei e americani resteranno a guardare. E la vicenda della Flotilla segnala che sono minime le possibilità  che i palestinesi a settembre possano ottenere all’Onu riconoscimenti significativi della loro proclamazione unilaterale di indipendenza. Ammesso che Abu Mazen prosegua sulla strada intrapresa. Le voci di soluzioni di compromesso e di pressioni sul debole presidente palestinese si fanno sempre più insistenti con il passare dei giorni. Netanyahu lo sa bene e può dormire sonni tranquilli. Il lavoro di Israele ormai lo fanno altri.


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