«Mubarak è in coma» L’ultima partita del raìs

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GERUSALEMME — Non c’è pace per il Nuovo Egitto, che ieri ha vissuto una delle giornate più caotiche e difficili dalla caduta di Hosni Mubarak più di cinque mesi fa. Tra notizie contrastanti sulla salute dell’ex raìs, e segnali altrettanto contradditori lanciati dalla Giunta militare di transizione, mentre la protesta riaccende da giorni il Paese. È stato verso sera che l’avvocato dell’ex presidente, Farid Al Dib, ha annunciato che il suo assistito era «in coma, sta morendo, l’ho saputo dalla moglie Suzanne» . Smentito poco dopo dal direttore dell’ospedale di Sharm Al Sheikh («il paziente è stabile» ), dove Mubarak è ricoverato in stato d’arresto da aprile in attesa del processo per aver ordinato l’omicidio di centinaia di dimostranti e per corruzione, fissato per il 3 agosto.
Un appuntamento a cui tutti guardano e che molti temono venga rinviato per volere degli stessi militari, pur schieratisi con la piazza ma certo poco desiderosi di vedere uno di loro sul banco degli imputati. I sospetti della piazza si uniscono alle accuse rivolte alla Giunta di ostacolare i processi ad altri uomini del vecchio regime e di proteggere quelli rimasti al potere, anche nel governo. Ieri mattina, per calmare gli animi il premier Essam Sharaf, di cui molti chiedono la testa, ha annunciato l’inizio di un ampio rimpasto del suo governo civile, incaricato dalla Giunta di portare il Paese alle elezioni inizialmente previste in settembre, da poco rimandate di «un massimo di 60 giorni» .
 Licenziati i ministri degli Esteri, della Finanze e dell’Industria, in tutto i membri dell’esecutivo che salteranno dovrebbero essere una quindicina. La Giunta ha inoltre annunciato che i processi nei tribunali militari a civili saranno «limitati» . Un altro piccolo segnale di conciliazione dopo la nuova ondata di proteste in corso da una settimana: decine di giovani in sciopero della fame in tutto il Paese, Piazza Tahrir ancora piena di gente indignata, appelli su Facebook per nuove manifestazioni di massa. Ed episodi come la sfortunata comparsa del generale Tareq Al Mahdi a Tahrir fischiato e salutato con decine di scarpe in segno di sdegno per il suo maldestro, e ben poco creduto, tentativo di mediazione.
 La rivoluzione si sente ormai tradita dai militari a cui ha affidato, volente o nolente, la transizione. E nuove prove sono arrivate ieri con l’affermazione dei militari di essere la «sola autorità » in Egitto. Un loro esponente ha commentato la «purga» ministeriale ricordando che non spetta al premier decidere chi va e chi resta nel governo, bensì ai generali. I militari guidati dall’ex ministro della Difesa sotto Mubarak, il generale Mohammad Tantawi, hanno poi fatto sapere che la nuova Costituzione dovrà  rispettare alcuni «principi base» : fissati da loro, non soggetti a referendum, precedenti la formazione di un nuovo Parlamento eletto.
Principi che dovrebbero dare ai generali poteri simili a quelli dei colleghi turchi all’inizio degli anni 80. Rendendoli sì garanti della «laicità » del Paese, e baluardo contro la temuta avanzata dei Fratelli Musulmani, ma soprattutto garantendo loro l’enorme potere politico ed economico di cui per decenni hanno goduto, rendendoli autonomi e non soggetti al potere civile, futuro presidente compreso.


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