Neanche l’afa ferma lo sciopero
L’estate è spesso tempo di fregature, per chi lavora. Manovre economiche e pessimi accordi «epocali» sono da sempre la norma, perché tra vacanze e solleone – si pensa ai piani alti – è più difficile mobilitare la protesta.
Non è andata così però negli stabilimenti del gruppo Fiat, dove oggi c’è stato sciopero contro la mancata erogazione del premio di risultato (mentre il dividendo agli azionisti è stato versato regolarmente, segno che «il risultato» è stato positivo).
Enzo Masini, coordinatore nazionale della Fiom per il settore auto, non ha nascosto la sua soddisfazione. «Negli stabilimenti interessati allo sciopero l’adesione ha superato complessivamente il 50% fra il personale operaio, con punte del 70% alla Fpt di Foggia e dell’80% alla Sevel, all’Iveco di Suzzara, all’Iveco di Pregnana, alla Marelli di Crevalcore, Corbetta, Tolmezzo e Sulmona. Sulmona, che aveva già scioperato mercoledì scorso, ha visto un’adesione al 95%».
Ma non è finita qui. «Gli stabilimenti Iveco di Brescia, la Sata di Melfi e la Cnh di Iesi sciopereranno per lo stesso motivo la prossima settimana». Cifre che confortano la Fiom, «mentre Fim e Uilm, in molte realtà non hanno neppure attuato le 4 ore stabilite nazionalmente dalle loro organizzazioni sindacali». L’obiettivo a questo punto è costringere «l’azienda a ripensare il proprio comportamento, sia in termini di difesa dei livelli occupazionali – a partire dall’annuncio della chiusura di Termini Imerese e della Irisbus di Grottaminarda (Avellino) – sia riconoscendo alle lavoratrici e ai lavoratori un saldo del premio di risultato adeguato ai sacrifici che questi stanno facendo».
Ma alle sciagure estive si è aggiunta la sentenza del giudice del lavoro di Melfi, che giovedì ha accolto il ricorso Fiat e giustificato il licenziamento di tre operai della Sata-Fiat. Le motivazioni sono state rese note ieri e si rimane in effetti piuttosto stupefatti. Durante lo sciopero spontaneo avvenuto nella notte tra il 6 e il 7 luglio dello scorso anno, infatti, la condotta di Barozzino, Lamorte e Pignatelli sarebbe stata «illegittima» perché finalizzata a «determinare materialmente l’interruzione dell’attività produttiva». Con «grave danno economico per l’azienda (15 auto non prodotte)». Circostanza peraltro esclusa nel primo processo, che aveva dato ragione ai tre operai e alla Fiom, sancendo il «comportamento antisindacale» della Fiat.
Ma anche il giudice di questa causa è costretto ad ammettere che «non c’è stata nessuna premeditata intenzionale volontà di sabotaggio» da parte dei tre operai. Il blocco di un carrello che trasporta in automatico i pezzi alle postazioni, infatti, «potrebbe essere avvenuto verosimilmente per colpa, ossia per contatto inconsapevole di qualcuno, data la concitazione degli eventi». Insomma, non sono stati loro a bloccarlo.
A leggere la motivazione, dunque, l’unica vera causa del licenziamento sarebbe da individuare nell’«atteggiamento di sfida» sostenuto davanti alle contestazioni di un «capo»; anzi, addirittura l’«ironia» con cui replicavano («se qui non possiamo stare, dicci tu dove dobbiamo andare» e «che, ti si è incantato il disco?», per dire che non era necessario ripetere «più volte la stessa contestazione».
Secondo il tribunale, però, «non trova fondamento» la tesi della Fiom secondo cui «la punizione dei soli tre operai» è «finalizzata a influire sul futuro svolgimento della lotta» cioè a incidere sui futuri rapporti sindacali e la Fiom «non ha fornito adeguata prova di tale tesi». Se lo stesso giudice avesse ammesso al dibattito le telefonate registrate nei giorni successivi, di quelle «prove» ne avrebbe trovate a bizzeffe.
Perché lì le celebri «pressioni Fiat» erano squadernate con dovizia di dettagli. Del resto, anche in aula, gli avvocati del Lingotto si erano rivolti a questo giovane giudice con la ultimatività che Sergio Marchionne ha riportato in auge: sostenendo in pratica che se fosse stata accolta la tesi della Fiom, la «sentenza sarebbe stata politica», un implicito «invito all’azienda ad andar via dall’Italia».
Sulla vicenda sono ovviamente saltati su tutti i media padronali, a partire da quelli berlusconiani. E non è mancata nemmeno stavolta la voce di Pietro Ichino, uomo Pd sempre pronto a sostenere le ragioni delle aziende contro i lavoratori: «nella valutazione circa la gravità della mancanza occorre tenere conto delle circostanze e quindi, in particolare, della necessità di impedire che una minoranza sindacale possa imporre le proprie scelte alla maggioranza». Un giudizio che sarebbe logico rivolgere a chi firma «accordi separati» (Cisl e Uil, in genere) senza nemmeno consultare chi dovrà subirli…
Ma per oggi è attesa la ben più decisiva sentenza del tribunale di Torino sul «contratto Pomigliano», dove a essere in questione è la pratica delle newco per aggirare contratti e regole esistenti. E per scegliersi un sindacato «morbido» cui far firmare tutto quello che l’azienda vuole.
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PROTESTE Tremila delocalizzati Fiat in corteo
Irisbus, bloccata la A16
Quasi tremila le persone in piazza contro la cessione dello stabilimento Irisbus di Grottaminarda (Avellino). Tanti erano ieri i manifestanti arrivati a dire «no» alla cessione – da parte della Fiat – dello stabilimento ai (quasi) cinesi della Dr di Isernia. C’erano tutti: i lavoratori della Irisbus, quelli della Fma e quelli di Pomigliano. La ex Iveco, che produce autobus, dovrebbe chiudere i battenti, dopo mesi di cassa integrazione. Sono 400 i dipendenti che rischiano di perdere il lavoro.
Dopo un lungo consiglio di fabbrica, gli operai dello stabilimento si sono incatenati ai cancelli dell’azienda per protesta. Verso le 11 circa 500 persone hanno bloccato l’autostrada Napoli-Bari in entrambi i sensi. Gli operai hanno scavalcato lo spartitraffico ed hanno iniziato la manifestazione lungo l’autostrada. Poi sono arrivati anche i sindaci. Mezz’ora, quanto basta a far capire che certe scelte devono essere riviste. Attesissimo, dal palco ha preso il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini: «Non ci dobbiamo rassegnare. Dobbiamo essere uniti contro le intenzioni di Fiat, che vuole chiudere gli stabilimenti in Italia e Spagna per aprirli nella Repubblica Ceca e in Francia». Un caso di delocalizzazione che confligge apertamente con i finanziamenti statali a lungo ricevuti dal Lingotto per aprire (o mantenere) siti produttivi anche nel Mezzogiorno. Su questo ha presentati un’interrogazione parlamentare anche l’Idv.
Mercoledì 20 questi lavoratori saranno a Roma per farsi sentire. Fino ad allora, comunque, resta confermato presidio davanti i cancelli di Flumeri. Il governo ha infatti convocato le parti – Fiat Industrial (che va benissimo sul mercato, al contrario del ramo auto) e sindacati nazionali dei metalmeccanici – nella sede del ministero dello sviluppo economico.
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