Troppi uomini per Alemanno
Il principio dovrebbe essere quello della ragionevolezza, ma dalle parti del Campidoglio s’è perso per strada da tempo. Così il sindaco Gianni Alemanno sembra sempre più un sindaco con le spalle al muro. Ieri il Tar del Lazio ha annullato la giunta «rimpastata» a gennaio: troppe poche donne. Cioè una sola, su dodici assessori: Sveva Belviso, alle politiche sociali. La giunta capitolina dunque non rispetta non soltanto i principi costituzionali ma anche il regolamento comunale che prevede un «ragionevole equilibrio» tra i sessi (non a caso regolamento intessuto anche da intelligenze femminili). La risposta di Alemanno? Dentro Rosella Sensi, ex presidente della Roma, con un assessorato «alla promozione della città , a partire dalle Olimpiadi». Secondo gli strateghi capitolini l’equilibrio è ristabilito. Ma non lo è affatto per le donne che hanno promosso il ricorso, le uniche due consigliere del centrosinistra, Monica Cirinnà e Maria Gemma Azuni, insieme alle consigliere di parità della Provincia di Roma e della Regione Lazio, Francesca Bagni e Alida Castelli e ai Verdi di Angelo Bonelli. Promettono di tornare in tribunale se il sindaco non farà di più.
Il fatto è che Alemanno non può, stretto tra guerre interne e diktat nazionali. Spera di passare la nottata ricalcando la sua prima giunta, quella del 2008, quando sugli alti scranni del Campidoglio sedevano solo due donne, oltre a Belviso l’assessorato all’Istruzione Laura Marsilio. Dopo lo scandalo della «parentopoli» capitolina in Atac, e una serie di «flop» che hanno scalfito il suo smalto, il sindaco ha cambiato squadra a gennaio e a farne le spese – tra gli altri – è stata proprio Marsilio, aprendo una dolorosissima spaccatura con la corrente di An guidata da Fabio Rampelli. Che non a caso ieri gongolava, definendo la sentenza «sacrosanta»: «Del resto, è apparsa evidente a molti l’alterazione di una proporzione che era già precaria all’atto della sostituzione, mesi fa, dell’assessore Laura Marsilio con un uomo». Ma a voler essere pignoli l’alterazione era in essere anche con Marisilio assessore. E questo è il problema: basterà ristabilire il finto equilibrio della prima giunta? E a voler essere ancora più pignoli: avrà pure ragione il Comune quando osserva che nell’assemblea capitolina le donne sono solo tre, due all’opposizione (le ricorrenti) e una nella maggioranza (Lavinia Mennuni, dicono abbastanza alterata per non essere stata neanche considerata). E non è che le donne non apparissero nelle liste di quel nero aprile 2008. Anzi, nel Pd si usano anche le «quote rosa». E alle Comunali c’è il sistema delle preferenze. Ma quando «butta male» – come con la candidatura di Rutelli – si muovono i poteri forti, ed è difficile che puntino sulle donne.
Ora tutti attendono con terrore le motivazioni del Tar, che verranno depositate tra 45 giorni. Il tribunale potrebbe decidere di dar vita a una «sentenza apripista», specificando una “quota” da rispettare nella composizione delle giunte. Inoltre non è ancora chiaro se azzerare la giunta significa anche azzerare le sue delibere. L’avvocato che ha curato il ricorso, Gianluigi Pellegrino, è convinto di no: «Quando un atto è approvato da un organo collegiale diventa definitivo. Il tema, dice «è un altro: l’equilibrio. Cos’è? Sappiamo cosa non è: se il medico mi dice che devo magiare in modo equilibrato pere e mele, non rispetto la dieta né se mangio una mela e undici pere, né se mangio due mele e dieci pere». La metafora non è bellissima, ma efficace. Ancora troppe pere. Ma la via per Alemanno è strettissima. Già sarà un problema capire chi «fare fuori» per fare spazio a Sensi. Il nome più accreditato è quello di Enrico Cavallari, assessore al personale. Tutti gli altri sono inamovibili – prendi Fabrizio Ghera, assessore alle periferie, ma l’ultimo «rampelliano» rimasto, roba da far volare gli stracci. Per non parlare di Mario Cutrufo, vicesindaco con delega al turismo, nonché senatore. Anche solo per fare bella figura sui «doppi incarichi» si poteva sacrificare. Anzi, era lui la vittima sacrificale designata. Ma è intoccabile. Protetto dai cattolici del Pdl, terza gamba del traballante governo Berlusconi. Ieri non a caso sono intervenuti il ministro Gianfranco Rotondi e il sottosegretario Carlo Giovanardi. Sulla sentenza non dicono una parola, ma si complimentano con Alemanno per non aver toccato Cutrufo «investito dalla sovranità popolare», poiché si presentò alle elezioni in ticket con Alemanno. Anzi, Giovanardi aveva addirittura battuto un comunicato «preventivo», appena avuto notizia della sentenza: «Cutrufo fu scelto non solo per rappresentare la nostra area, ma anche per riequilibrare un’eccessiva esposizione a destra». A Alemanno devono aver fischiato le orecchie.
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