«Ora un governo del presidente», se il premier va via
E anche su fare cosa: non andare alle elezioni e non chiedere ai cittadini come uscire dalla crisi.
Il Pd e l’Udc fanno sfoggio di «grande responsabilità » rispondendo all’appello del capo dello stato, e assicurano il rapido iter della manovra (Casini: «Quando la casa brucia, la prima cosa da fare è spegnere l’incendio»). Chiedono che subito dopo il premier si tolga di mezzo: ma è una richiesta, non la condizione del proprio appoggio. Per poi dar vita a un governo di responsabilità nazionale (appunto), con dentro tutti.
Casini giustamente non resiste alla tentazione di rivendicare la paternità dell’idea: «Fino a ieri non tutti, nell’opposizione, erano consapevoli di questa necessità . La drammaticità degli eventi che stiamo vivendo, tuttavia, sta finalmente facendo pensare». In realtà anche nel Pd c’è chi sostiene questa tesi da sempre, Massimo D’Alema. Che infatti ieri lo ha ribadito: dopo la manovra subito dimissioni del premier, «poi si potrebbe, se ci sono le condizioni, dare vita ad un governo di fine legislatura con lo scopo di affrontare la crisi e di cambiare la legge elettorale per andare poi alle elezioni» finalmente. Per forza: saremmo a fine legislatura. Ovviamente a patto che il premier «capisca che la sua presenza lì è un ostacolo alla collaborazione come quella che sarebbe necessaria ora per evitare un aggravarsi della crisi del paese».
La «sua presenza lì», dice il presidente di Italianieuropei. Via da lì, dunque, da Palazzo Chigi. Ma questo non esclude affatto, tanto per capirci, che il Pdl faccia parte delle forze che sostengono il nuovo esecutivo.
Pd e Udc vagheggiano il premier dimesso e un governo del presidente anche con il Pdl. No da sinistra Bersani effettivamente a quest’ipotesi fino a poche settimane fa non credeva affatto, e infatti aveva risposto picche a una richiesta di «un esecutivo d’emergenza» da parte di Pier Ferdinando Casini. E probabilmente in cuor suo non ci crede ancora. Ma, dopo l’appello del capo dello stato, ha schierato le divisioni parlamentari del Pd sulla linea del «non aderire né sabotare» la manovra. Ringraziando poi – come ha fatto ieri dalla piazza Tahrir del Cairo, dov’è in visita ufficiale – il presidente Napolitano «per il ruolo che sta svolgendo in questo momento non facile per l’Italia».
Ma c’è davvero un governo tecnico all’orizzonte? Il leader Pd risponde da tempo con lo stesso prudente concetto: «Non vorrei che si aprisse lo sport in cui tutti si mettono a fare il capo dello Stato. Per fortuna, abbiamo un capo dello Stato». E se fosse lui a proporre un governo tecnico? «In quel caso ne parleremmo con lui».
Nel Pd delle guerre intestine sui referendum elettorali – l’ultimo episodio della grande guerra fra D’Alema e Veltroni, che Bersani dovrà disinnescare alla prossima direzione del 19 luglio – qualcosa di bipartisan c’è: un intento e un timore. L’intento bipartisan (di tutti tranne che dello stesso Bersani) è quello di rimandare il voto quanto necessario, ovvero quanto più possibile. Il timore è che l’attacco all’Italia da parte dei mercati non finirà finché non si farà da parte Berlusconi, considerato universalmente inaffidabile. E che approvata la manovra, forse già venerdì, dalla prossima settimana ricominceranno turbolenze che potrebbero costringere Berlusconi alle dimissioni. A questo punto (archiviata ormai l’ipotesi del ministro Tremonti) l’italiano che gode di maggior credibilità presso tutti gli ambienti dell’orbe terracqueo, ovvero il presidente della Repubblica potrebbe nominare il secondo italiano credibile presso gli stessi ambienti, l’ex commissario europeo Mario Monti. Il Partito democratico certo non si tirerebbe indietro da un governo che di fatto si configurerebbe come «governo del presidente» (della Repubblica) come ha scritto esplicitamente ieri su Europa il veltroniano Giorgio Tonini. Un concetto, quello di governo del presidente, a rischio di uscire fuori dalle righe della costituzione? «No, in diritto costituzionale la fisarmonica è la classica immagine che si usa per rappresentare i poteri del capo dello Stato», spiega Stefano Ceccanti, costituzionalista e veltroniano anche lui. «In presenza di una maggioranza forte e un governo stabile quei poteri si restringono. In caso contrario, si allargano, appunto, a fisarmonica». Com’è in questo momento.
Lo scenario del governo del presidente resta altamente improbabile, com’è improbabile la disponibilità a un passo indietro da parte di Berlusconi. Soprattutto, un governo del genere dovrebbe essere ampiamente non augurabile per lo stesso Pd. Che, accollandosi la responsabilità di tappare le falle delle fallimentari politiche di Berlusconi e Tremonti, rischierebbe di giocarsi in poco tempo tutto il consenso faticosamente recuperato in questi ultimi mesi.
Scassando anche quel po’ che c’è di alleanza di centrosinistra. Perché gli alleati storici, per ora, non hanno nessuna intenzione di unirsi al governo di responsabilità . E non si tratta solo dei comunisti di Ferrero e Diliberto, che sparano a zero sull’ipotesi un «suicidio politico» per Bersani.
Nichi Vendola ieri si è detto favorevole «a una manovra pesante e con la cornice solenne dell’unità nazionale ma a condizione che non si tocchi più il welfare, i pensionati, i salari dei lavoratori dipendenti, il futuro dei giovani, che non si continui a tagliare scuola, università e sanità e che si tocchino invece le proprietà , le rendite e le ricchezze». Ma siccome non la manovra non sarà così «io starò dalla parte della povera gente, che ha il diritto di rivoltarsi contro la violenza classista e di un massacro sociale annunciato».
E stavolta anche il responsabilissimo Di Pietro, che sulla manovra è stato il primo a dichiararsi disponibile a ritirare gli emendamenti e favorirne la rapida approvazione, a un governo di salute pubblica non ci sta. «Dopo l’approvazione della prima fase della manovra pluriennale richiesta dall’Europa è necessario al più presto andare a nuove elezioni», dice Leoluca Orlando. «Occorre tornare alle urne per avere un governo credibile e capace di correggere i guasti di queste misure ingiuste, dilatorie e del tutto parziali». Per essere più espliciti: «Pensare a ipotesi di galleggiamento o di governissimo, significa non comprendere che, se entro un anno l’Italia non avrà un governo democraticamente eletto, starà dieci volte peggio della Grecia con grave danno per gli italiani e per la costruzione dell’Europa».
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