La moneta sonante di una crisi sull’orlo di un’apocalisse culturale

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La globalizzazione non è un mostro senza testa, come spesso è descritta da chi l’avversa. Presenta una logica ferrea, talvolta spietata nel distruggere legami sociali, costituzioni materiali consolidate, ma tuttavia fin troppo evidente nel perseguire l’obiettivo di garantire un «flusso» di merci, denaro, capitali. Sia ben chiaro, siamo distanti anni luce da qualche «piano del capitale» definito a tavolino in qualche stanza del potere mondiale, sia esso incarnato dal Wto, la Casa Bianca, il Fondo monetario internazionale o la sempiterna Trilateral, perché se l’obiettivo è chiara, diverse sono le strade per raggiungerlo. Il Capitale procede un po’ a tentoni, sperimenta, corregge, cambia direzione. Ultimamente ha anche uno straordinario strumento nelle sue mani per riuscire nel suo intento, la finanza, luogo di governo e di innovazione negli strumenti di governo della globalizzazione.
Chi scrive ciò non è un suo apologeta, bensì un critico, che non è un economista, né un filosofo, bensì un geografo che molto ha fatto nel porre il problema dello spazio altrettanto importante di quello del tempo nella critica dell’economia politica. David Harvey è infatti un marxista atipico rispetto al panorama anglosassone. Lo si potrebbe definire un innovatore in ferrea continuità  con la tradizione marxista. Esempio di questa tensione ad adeguare una cassetta degli attrezzi, ritenuta da gran parte dei suoi contemporanei talmente corrosa dal tempo da essere inservibile, sono i suoi precedenti libri. Da La crisi della modernità  a L’esperienza urbana (entrambi pubblicati da Il saggiatore), da Neoliberismo e potere di classe (Allemandi) a Breve storia del neoliberismo (Il Saggiatore), il suo percorso di ricerca si è sempre misurato con la tendenza «globale» del capitalismo. A riprova di ciò, il concetto di accumulazione per espropriazione introdotto da Hervey aiuta a comprendere il perché il capitalismo, nel plasmare l’intero pianeta a sua immagine, deve continuamente valorizzare capitalisticamente ambiti della vita (la salute, la conoscenza, il desiderio) e della natura (l’acqua, la Terra) per plasmare a sua immagine l’intero pianeta. Tema ben presente nelle sue lezioni su Il capitale di Marx postate su YouTube e diventate un vero best-seller della Rete.
L’enigma del capitale, attraverso il concetto di flusso, interpreta il regime di accumulazione capitalista come un processo che deve mantenere sempre alta la domanda, attraverso il credito al consumo e sofisticati strumenti finanziari messi in campo allorquando c’è contrazione della domanda. È questa la parte più importante del libro, ma anche la più problematica. Anche qui non ci troviamo di fronte alla solita riproposizione della figura del finanza-parassita, ma al dispositivo che garantisce il flusso di capitale senza di quale la crisi assumerebbe le vesti di una apocalisse social, culturale e politica. Harvey, tuttavia, pensa alla finanza in quanto mero strumento tecnico, per quanto sofisticato, come ad esempio quello della «cartolarizzazione del debito, che non entra mai in relazione con quanto accade nella realtà  sociale. Da questo punto di vista l’introduzione della nozione di «Stato-finanza» non scioglie l’Enigma del Capitale, bensì lo rende più oscuro.
Infatti, la finanza, proprio in quanto strumento di governance del regime di accumulazione capitalistica, trova alimento proprio in quanto avviene nella società  e nelle dinamiche attinenti al riproduzione del regime di accumulazione. L’indebitamento individuale, l’investimento di fondi pensione (cioè salario differito) nella finanza attiene cioè a due aspetti sempre più rilevanti nell’economia globale: garantire un standard di vita convenzionalmente definito dai rapporti sociali che verrebbe meno a causa del mancati aumenti salariale; e allo stesso tempo accedere a beni e servizi – la casa, la salute, la formazione – negati dalla dismissione del welfare state.
Ha frecce nel suo arco Harvey quando sostiene che la finanza è anche il modo usato per trovare sbocco ai profitti accumulato nel processo produttivo (la cosiddetta economia reale. Ma il flusso di capitale si interrompe perché entrano in campo domande sociali che vogliono essere soddisfatte attraverso la leva finanziaria. È questo il vero enigma del capitale che lo Stato, così come la finanza, tendono a farlo rimanere tale e preversavrlo dalla dinamiche sociali maturate dentro e contro il regime di accumulazione capitalista.


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