Italia vendesi in borsa

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Attacco all’Italia, attacco all’euro. Gli speculatori hanno continuato a fare il loro mestiere dopo il blitz di venerdì scorso, affossando la borsa di Milano e precipitatandola a -3,96, nonostante la stretta della Consob sulla trasparenza delle vendite decisa domenica. Malissimo anche lo scarto (spread) tra il rendimento dei titoli italiani, i Btp, e quelli più solidi tedeschi, i Bund, allargatosi fino a 300 punti base, che tradotto vuol dire un aumento del costo del finanziamento dell’enorme debito pubblico italiano aggravato di altri miliardi. Ma la speculazione, e in certi casi la paura che scatta quando le cose vanno male davvero, funzionano quando il barometro della politica resta fermo sul cattivo tempo: l’Italia è considerata virtualmente senza governo e il ministro dell’economia Giulio Tremonti, l’unico che parli di rigore dopo aver comunque fatto scappare i buoi del debito, non starebbe al suo posto in un paese anglosassone che lui tanto ama. Non sapere cosa fa il suo braccio destro – Marco Milanese, per il quale è stato chiesto l’arresto – è un argomento sufficiente per lasciare, a Londra o a Washington e forse anche altrove.
Non a Roma e meno che mai a Milano, dove ieri in borsa sono stati decapitati un mucchio di titoli. A partire dai bancari, con i primi due gruppi del paese a precipizio, Unicredit – 7,74 e Intesa Sanpaolo -6,33, seguiti dagli assicurativi e dagli industriali. Ma che non si sia trattato di sola speculazione lo dice in serata un portavoce della Consob: «Ad una prima analisi, ancora provvisoria e soggetta a verifica, sembra che le vendite allo scoperto abbiano avuto un ruolo marginale nella seduta di oggi. Dai riscontri che la Consob ha avuto, l’impressione è che non si tratti di vendite allo scoperto, ma di vendite effettive». Come dire, panico vero, si torna ai valori del marzo 2009. In una sola seduta si sono così bruciati circa 16,4 miliardi di euro di capitalizzazione dei titoli quotati in Piazza Affari, borsa per altro poco importante sul continente, mentre le perdite sulle altre piazze europee sono state minori ma sensibili ovunque. A Parigi il Cac ha terminato con -2,71%, a Francoforte il Dax con -2,33%, a Londra il Ftse con -1,04%. Dall’altra parte dell’Atlantico, a metà  seduta anche Wall Street andava male, con il Dow Jones che segna -1,07% e il Nasdaq -1,75%, prevedendo una prossima ondata speculativa sulla scia del disastroso debito pubblico americano e delle allarmate parole del presidente Barack Obama.
Mala tempora anche sui titoli di Stato pluriennali italiani (Btp, buoni del tesoro poliennali), che servono allo stato per finanziarsi. Il loro rendimento, fissato con un’asta (la prossima è per giovedì), è un indice della salute finanziaria e della credibilità  del paese. Ieri il Btp decennale ha raggiunto il massimo scarto (spread) con i Bund tedeschi, segnale chiaro non solo che per l’Italia diventa più caro ripagare il debito pubblico (vicino al 120% del Pil), ma anche che le previsioni dei mercati sulla salute finanziaria del paese restano negative.
Solo così si spiega (ma non si giustifica) la sortita della cancelliere tedesca Angela Markel alla vigilia dell’apertura del vertice dei ministri finanziari della Unione europea. Dopo una telefonata a Silvio Berlusconi, ha fatto sapere Merkel ai mercati nel tentativo di rassicurarli, lei ha «piena fiducia nel fatto che il governo italiano adotterà » una manovra che vada incontro alla necessità  di «risparmio e consolidamento». Ora, non si è mai visto che il capo di un governo straniero dica a un altro di approvare presto e bene a casa sua scelte di politica economica che riguardano la vita dei cittadini. Solo un Berlusconi inesistente e reso silente dalla sentenza sul Lodo Mondadori, cioè da fatti e misfatti propri, poteva subire un diktat di questo tipo. E infatti i mercati, fatti di numeri ma che conoscono bene la politica, hanno tirato dritto, stendendo borsa e titoli di stato. La debolezza del governo italiano è così grave che l’Italia si potrà  salvare soltanto perché alla fine, la Germania, la Francia e gli altri non possono permettersi il nostro default.


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