Parmalat nelle mani del gruppo Lactalis
MILANO – Parmalat alza bandiera francese. L’Opa da 2,6 euro per azione lanciata da Lactalis si è chiusa infatti con un successo superiore alle aspettative (e forse alle speranze) del gruppo della famiglia Besnier. I transalpini sono saliti infatti all’83,3% del capitale grazie a una raffica di adesioni nell’ultimo giorno dell’operazione, superando la soglia minima del 55% che si erano posti come obiettivo per la sua validità . Il conto finale della scalata a Collecchio è quindi più salato del previsto: Lactalis ha speso in tutto 3,7 miliardi, una cifra che ha gonfiato il suo debito a quota 6,3 miliardi. E a questo punto è molto probabile che la società d’Oltralpe utilizzi almeno in parte il tesoretto di liquidità trovato nella cassa di Parmalat (in tutto 1,43 miliardi) proprio per finanziarne l’acquisizione.
Le nozze tra l’ex-impero dei Tanzi e il gruppo francese daranno vita a un gruppo da 15 miliardi di fatturato. Il business tricolore garantirà da solo 2,4 miliardi di ricavi grazie a 5.400 dipendenti in 20 stabilimenti e a diversi marchi della tavola nazionale come Invernizzi, Cademartori, Galbani e Santal. Il controllo saldamente in mano alle finanziarie personali dei Besnier.
Il timido tentativo del governo di stoppare lo sbarco dei francesi in Emilia è stato alla fine inutile e un po’ velleitario. Nessun imprenditore italiano ha mostrato interesse per il dossier Parmalat e le banche si sono defilate una alla volta (ultima Intesa Sanpaolo che ha consegnato in Opa il suo 1,9% del capitale). Il Fondo strategico italiano puntellato con i soldi della Cdp voluto dal ministero dell’Economia è nato invece troppo tardi per riuscire a dire la sua nella partita di Collecchio.
La palla è dunque ora nelle mani dei Besnier che nell’ultima assemblea hanno già preso il controllo del cda nominando come presidente Franco Tatò. Come già scritto con chiarezza nel prospetto, Lactalis potrebbe consolidare in Parmalat le attività nel latte controllate in Francia e Spagna. Una partita di giro che consentirebbe di trasferire ai piani superiori (leggi le tasche degli scalatori) la cassa dribblando senza eccessivi problemi i vincoli statutari dell’azienda italiana, che prevedono solo il sì di un comitato composto da tre indipendenti per le operazioni con parti correlate.
L’altra incognita (oltre al nome dell’ad ancora da designare) è legata al riassetto industriale. Lactalis punta a sviluppare sinergie nei depositi e nei costi di distribuzione per ridurre le spese di struttura. Ma non prevede conseguenze occupazionali per Collecchio. Stesso discorso vale per l’approvvigionamento del latte, un’incognita che pesa sul futuro di molte stalle nazionali visto che il gruppo nato con lo sbarco dei francesi in Parmalat sarà di gran lunga il primo compratore di latte nel Belpaese. I nuovi soci di controllo però hanno già annunciato che le due aziende sono complementari sul fronte delle forniture e che non ci dovrebbero essere sovrapposizioni. «Lavoreremo a un ulteriore sviluppo di Parmalat nel rispetto della sua struttura e degli allevatori di tutte le regioni italiane», ha garantito il numero uno di Lactalis Emmanuel Besnier.
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