Per tenere insieme l’Europa bisogna ripartire dai diritti
ROMA.«Guardo con disappunto alla spirale di nazionalizzazione in Europa. Si comincia col chiudere le frontiere, poi il mercato, poi si arriva alle politiche di sicurezza. Le conseguenze sono imprevedibili». Così risponde Thorbjorn Jagland, segretario generale del Consiglio d’Europa, a chi gli chiede cosa si prova a stare a capo di un organismo che, complice la crisi economica e il nuovo vigore dei partiti xenofobi e populisti, è vissuto con crescente «malumore» da parte degli Stati che vorrebbero liberarsi dal «giogo» delle Convenzioni internazionali. Jagland dice che è proprio questo il momento in cui serve un organismo come il Consiglio. Che racchiude 47 stati europei, quasi a disegnare una Unione futura. Non basata, però, prioritariamente sull’unione dei mercati, bensì sul rispetto della Convenzione europea dei diritti umani. Dunque, più che futura, futuribile. Ma, appunto, forse sono proprio i diritti umani e il riconoscersi diversi in valori comuni l’unica strada possibile per rafforzare un processo di integrazione interrotto. Su questo punta il Consiglio, che ieri è venuto a presentare in Italia un Rapporto messo a punto da nove «eminenti personalità », incaricate di elaborare raccomandazioni sulla possibilità di «vivere insieme nella libertà e nella diversità ». Nel gruppo, anche l’italiana Emma Bonino.
Le solite parole, si dirà . Invece infonde speranza osservare che ancora esistono luoghi di azione politica intenzionati a ri-centrare il problema: «Non bisogna dimenticare che l’Europa nasce dalle differenze», ha sottolineato Bonino. Ricordando, cioè, che prosperità e progresso – persino dentro modelli economici criticabili – sono sempre andati di pari passo con il riconoscimento del diritto degli «altri» (classi sociali, minoranze, generi, culture) e mai all’inverso. Oggi, al contrario, la politica va avanti sorvolando su alcuni dati: «Nei prossimi dieci anni l’Italia avrà bisogno di 3 milioni di immigrati in più», ricorda Emma Bonino. Eppure non esiste un paese europeo in cui l’immigrazione non sia vissuta come una minaccia. «Sarebbe appena il caso di ricordare – sottolinea ancora Bonino – che non si torna indietro, e che con questa realtà occorre fare i conti. Per quanto tutti i modelli siano falliti». Ma alcune «ricette» sarebbe invece possibile sperimentarle. E non sono banali. Tra queste c’è la necessità di riconoscere diritto di voto a tutti gli immigrati regolari. «Poiché se partiamo dal principio che tutti dobbiamo rispettare le leggi che ci siamo imposti, è necessario che tutti possano collaborare alla elaborazione di quelle leggi». Vi è poi la necessità di riconoscersi diversi, e partire da una legittimazione delle diverse culture e religioni. Ma non solo, bisogna andare oltre. E toccare il tasto dei famosi «clandestini», che non hanno rispettato le leggi ma che a causa della mancanza di un documento rischiano di essere vittime una volta di più. Per questa categoria, il gruppo delle eminenti personalità invoca il rigoroso rispetto dei diritti umani, ma anche procedure possibili di legalizzazione. E a proposito di categorie particolarmente svantaggiate, un occhio di riguardo – davvero apprezzabile poiché raro – Jagland lo riserva alle minoranze rom. Ancora, sulle raccomandazioni: il gruppo chiede ai dirigenti europei «di dar prova di vera leadership condannando le dichiarazioni estremiste, razziste, xenofobe e anti-immigrati ovunque e in qualsiasi circostanza». Tutto facile? No se anche tra le «eminenti personalità » – presidente Joshka Fischer, e tra gli altri Timothy Garton Ash per il Regno unito e Ayse Kadioglu per la Turchia – non c’è unanimità sull’uso del burqa in pubblico (si cerca una «exit strategy» puntando sul diritto di guardarsi in faccia in luoghi pubblici). Ma ha anche ragione Jagland quando sottolinea che «pur viaggiando in tutta Europa non ne ho mai visto uno». Indiretta «bacchettata» ai giornalisti, molto esperti a creare polveroni. E l’Italia, in tutto questo? Vale la pena annotare l’incidente diplomatico – piuttosto emblematico – sfiorato ieri mattina. Jagland aveva un appuntamento a Palazzo Chigi, ma per un malinteso non è stato fatto entrare. Il sottosegretario Gianni Letta è piombato nel luogo di presentazione del Rapporto: «I apologize, I apologize» (mi scuso, mi scuso). «Vorrei avere modo di parlare con voi del rapporto», si è limitato a dire Jagland. «Non mancherà occasione», la risposta di Letta. Speriamo.
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