I freni al welfare aziendale

Loading

È una delle spinte più forti che arrivano oggi dai lavoratori: l’enorme domanda di welfare aziendale. E ciò perché quello pubblico è sempre più debole. Soprattutto per quei lavoratori (la maggioranza), prevalentemente donne, che hanno bisogno di aiuto per riuscire a conciliare l’impiego in fabbrica o in un ufficio con la conduzione della vita familiare. Così ci si rivolge al riferimento privato che più attraversa la vita di tutti: l’azienda, il datore di lavoro.
Un interlocutore che però riesce a coprire solo molto parzialmente la domanda, sia per scelta miope, sia per oggettiva impossibilità  di sostituirsi a uno Stato spesso latitante. È ciò che emerge dall’indagine commissionata ad Astra-Ricerche dalla multinazionale francese Edenred, la società  titolare del marchio Ticket Restaurant. I benefit più richiesti dai lavoratori (un campione di 883 persone rappresentativo della realtà  italiana) sono, nell’ordine, i ticket restaurant (57%), l’orario flessibile (56%), la mensa aziendale (54%) e il telelavoro (53%). Singolare, poi, è l’apparente paradosso degli asili nido aziendali, vista la fame di strutture che il pubblico non riesce a soddisfare: sono solo al nono posto delle preferenze, scelti dal 47%degli interpellati. L’incongruenza però si risolve interpretando meglio i dati, come spiega il presidente di Astra, Enrico Finzi. «Tutti i lavoratori del campione, ovviamente, mangiano e quindi sono interessati a ticket e mense, mentre solo una parte ha figli in età  d’asilo.
 La cosa importante, però, è che i bisogni legati all’alimentazione, che sono caratteristici di una fase proto-industriale, pesano solo per L. 11,5%sulla domanda di welfare dei lavoratori, orientata per il restante 88,5%verso i benefit socio sanitari e di qualità  della vita» . Ma di tutti i 20 benefici aziendali testati da Astra — tra cui vanno citati, in ordine di preferenza, il telelavoro, i corsi di lingue, l’assistenza medica, il car sharing, l’assistenza convenzionata agli anziani e disabili in famiglia, le vacanze per i figli e la lavanderia aziendale — il 35%dei lavoratori non ne gode alcuno. Una percentuale che salta al 51%nel caso delle piccole aziende che impiegano tra 16 e 50 dipendenti. «Tuttavia il dato più significativo dell’indagine — sostiene Finzi — è la gigantesca domanda di welfare aziendale che resta inevasa, perché molte aziende non capiscono che non si tratta di fare del capitalismo paternalistico, ma di aumentare la produttività  migliorando il clima aziendale» . Per rendere l’idea: il telelavoro è desiderato dal 52%dei dipendenti, ma solo il 9%lo esercita effettivamente; i corsi di lingua, ambiti dal 48%, sono goduti dall’ 8%; gli asili nido, amati dal 47%, sono a disposizione di solo il 5%dei lavoratori.
Unica eccezione i benefit alimentari, fruiti dal 50%di chi li desidera. Una particolarità  italiana confermata anche dall’indagine di Crf Institute, la multinazionale spagnola delle risorse umane che ha testato 340 aziende (tutte però di grandi dimensioni) di nove paesi europei: mense e ticket restaurant in Italia sono concessi nel 90%dei casi, contro il 66%della media europea.


Related Articles

Il governo sfida la Cgil sul lavoro “Confermati gli incontri separati” Fase due, summit premier-Visco

Loading

Le riforme Bersani: “Pericoloso rompere la coesione sociale”   Sotto esame misure su liberalizzazioni, credito per le aziende e costi dell’energia 

Riforma dell’Opa nella legge di Stabilità proposta bipartisan per vincolare il governo

Loading

Con le nuove norme la Consob determinerebbe il “controllo di fatto” dei soci che hanno meno del 30% del capitale

Contratti a tempo determinato nel 70% delle assunzioni e aumentano i licenziamenti

Loading

Crolla l’occupazione nella grande industria italiana. In sei anni, quelli che preparano e seguono la Grande Crisi (2005-2010), le imprese perdono l’8 per cento dei loro addetti. E intanto il lavoro si trasforma: 7 dipendenti su 10 entrano da precari, altrettanti escono quando scadono i contratti, se incentivati o licenziati. E quest’ultima voce mette il turbo, a conferma che l’articolo18 dello Statuto dei lavoratori forse è solo un falso problema. I licenziamenti fanno un balzo in avanti di oltre un terzo, raggiungendo nel 2010 il 7,5 per cento del totale delle uscite dal 5,5 del 2005. In sei anni sono cresciuti del 36,4 per cento. E dopo un 2011 di stagnazione, è già  recessione.La fiducia nelle aziende ai minimi dal 2009 e per il commercio addirittura dal 2003Il rapporto dell’Istat rivela come la recessione influisca sulla creazione di nuovi posti 

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment