P4, il Pdl contro l’arresto di Papa ma ora è scontro con la Lega
ROMA – Salvare dall’arresto Alfonso Papa «per salvare tutti noi». Garantismo fino in fondo. Angelino Alfano, il neo segretario del Pdl. Fabrizio Cicchitto, il capogruppo alla Camera. Maurizio Paniz, l’omologa figura nella giunta per le autorizzazioni. Francesco Paolo Sisto, l’avvocato nelle vesti di relatore. Un’unica, ufficiale voce. Tutta per Alfonso Papa, l’ex pm ed ex vice capo di gabinetto del ministero della Giustizia, di cui due pm di Napoli, Curcio e Woodcock, che furono suoi colleghi, hanno chiesto l’arresto per una sfilza di reati, tra cui pure l’estorsione.
Quando il gruppo dei berlusconiani si riunisce a Montecitorio la voce ufficiale è una sola: «no» all’arresto di Papa. Lo dice davanti a tutti il tuttora Guardasigilli Alfano: «Noi siamo garantisti. Ascolteremo le sue ragioni. Sentiremo la sua difesa prima di decidere». Senza storia Cicchitto: «Non ho mai visto un’inchiesta come questa. Il solito Woodcock ha inseguito e intercettato Papa quasi fin dentro la Camera. Nei suoi confronti sono state fatte cose che non sarebbero mai state fatte contro nessun altro cittadino». Poi, perentorio: «Io non voterò mai per l’arresto di qualcuno». La Lega è tuttora incerta. Luca Rodolfo Paolini, che sta in giunta, vuole prima sentire Papa.
Ma la decisione ufficiale è di fatto già presa. Contro chi aveva già annunciato pubblicamente il suo sì all’arresto (Santo Versace), contro i forti malumori, contro l’incertezza del voto segreto. Ufficialità e colpo di teatro. In vista di stamattina, quando alle 9 e 15, in giunta, Papa si presenterà per dare la sua versione. Ieri sera non c’era. Gli hanno consigliato di lasciar fare agli amici. Lui, tutto il pomeriggio, ha passeggiato tra Transatlantico e cortile. Ha spettato di parlare con Denis Verdini. Ha mostrato la sua memoria. Dieci pagine. Le distribuirà oggi. Per difenderlo, al gruppo, Paniz e Sisto hanno accolto i colleghi con il telone delle proiezioni. Hanno fatto vedere un’immagine di Papa pedinato che è agli atti, ma non dovrebbe starci perché lui è un deputato. Ma – ed è l’anomalia secondo Sisto – essa entra nel fascicolo perché viene mostrata dai pm ai testimoni che la riconoscono. Un modo per dire a tutti “attenti, se dite sì all’arresto e cedete sulle nostre prerogative, potreste finire tutti così». Paniz è certo: «Non ci sono pezze d’appoggio sufficienti per chiedere una misura cautelare».
Lui, Papa, giocherà oggi la carta del fumus persecutionis. Lo scrive, andando indietro nel tempo. A quando era pm sotto il capo Agostino Cordova, si considerava un suo seguace, e collegi come Curcio che oggi lo indaga e il sindaco di Napoli De Magistris gli facevano la guerra. Tutto parte di lì, per Papa. Lì è l’origine della vendetta «maturata» oggi. Tant’è che, scrive, quei pm, quando lui si trasferì a Roma, proposero di espellerlo dall’Anm.
Al fumus si aggiunge, per lui, l’aperta violazione della competenza territoriale. Perché, scorrendo l’atto d’accusa, Papa enuclea fatti e presunti reati che sarebbero stati commessi a Roma. Quindi è qui, nella Capitale, che i pm di Napoli dovevano trasmettere subito le carte. Poi ancora addebiti agli ex colleghi. Che avrebbero condotto «in modo vessatorio» una perquisizione nei confronti dei suoi suoceri ultra settantenni e Curcio avrebbe anche fatto con loro «considerazioni non rilevanti penalmente ma denigratorie» contro di lui. La difesa nel merito è affidata alle “carte”. Un bonifico dimostrerebbe che lui ha pagato la famosa Jaguar regalata all’amante. Ci sarebbe la prova che ha restituito all’imprenditore Matacena l’equivalente di quanto lui pagò all’albergo De Russie per una notte di Papa con un’altra amante, ma solo perché fruiva di una convenzione. Un’altra pezza d’appoggio dimostra che per un orologio da tavolo da 600 euro si fece accompagnare nel negozio dall’imprenditore Gallo, ma solo perché lui era amico del proprietario. Tutto questo per convincere i deputati che lui è innocente.
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